Il Gattopardo e la polemica per le mancate celebrazioni a 60 anni dalla pubblicazione

Il Gattopardo e la polemica per le mancate celebrazioni a 60 anni dalla pubblicazione
di Andrea Velardi
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Venerdì 19 Ottobre 2018, 23:10 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 00:53

Hanno risuonato in tutte le librerie d’Italia le musiche tratte dal film di Luchino Visconti il 21 settembre, all’indomani  della scomparsa di Inge Feltrinelli, che si era trasferita a Milano per amore di Giangiacomo Feltrinelli proprio nel 1958, l’anno della pubblicazione de Il Gattopardo, romanzo molto amato dalla regina dell’editoria. Presso la Feltrinelli di piazza del Duomo i lettori hanno perfino ballato sulle soffici note del "Valzer brillante", riorchestrazione verdiana di Nino Rota, fatta apposta per il gran ballo tra Claudia Cardinale/Angelica Sedara e Burt Lancaster/Don Fabrizio Principe di Salina. Anche Roberto Andò, uscendo dalle prove per la prima milanese di «Bella figura» di Yasmina Reza, ricorda come Inge Feltrinelli lo volle conoscere subito dopo aver visto «Il manoscritto del Principe» e che era una entusiasta del Gattopardo, romanzo affatto reazionario, che è un classico di cui nessuno può limitare la portata».

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Nel ricordo di Inge, l’editore Feltrinelli si è affrettato a rispondere, in una notta ufficiale, all’indomani della intervista polemica, in cui Gioacchino Lanza Tomasi, figlio adottivo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa,  lamentava il disinteresse per il 60 esimo anniversario dell’uscita de «Il Gattopardo». L’editore si dice dispiaciuto per le parole di Lanza Tomasi, che preferisce considerare  «frutto di una polemica estemporanea piuttosto che considerazioni di natura editoriale» e precisa «quanto sia intenso, oltre che ampiamente noto, il legame strettissimo e continuo tra Feltrinelli e il Gattopardo», valorizzato « in ogni forma  come uno dei capolavori della letteratura internazionale» e i cui diritti sono gestiti con «passione e cura» dall’editore che ne permise la pubblicazione dopo il rifiuto einaudiano di Vittorini, con 13 diverse edizioni del libro - maggiori, filologiche, audiolibri e tascabili-  dal 1958 a oggi.

Un romanzo affatto dimenticato con «innumerevoli occasioni di promozione e celebrazione organizzate dalla casa editrice e dal Gruppo Feltrinelli, in Italia e nel mondo Ricordiamo qui solo le letture di Stefano Benni organizzate lo scorso anno nella nuova sede della Fondazione Feltrinelli e aperte alla città e alle scuole. L’editore non risponde nel merito del 60esimo, perché «sarebbe scontato sostenere che il nostro modo di celebrare il Gattopardo è’ quello di cercare quotidianamente le novità che si rifanno a quello stile e a quella matrice letteraria, in realtà lo facciamo anche direttamente».
 
Gioacchino Lanza Tomasi sottolinea che «tutto quanto detto nel comunicato corrisponde a verità, ma è evidente che il 60esimo si tradurrà in un’occasione mancata».  Al figlio adottivo di Tomasi di Lampedusa chiediamo di precisare meglio i motivi del rifiuto dell’editore e del richiamo  fatto nell’intervista a Mario Ajello della «resistenza pratica» dovuta alla fede in una «una letteratura pedagogica di sinistra».  «Il Gattopardo in Italia  è stato sempre considerato un libro politico -spiega Lanza Tomasi- mentre nel mondo della cultura mondiale è solo il grande libro amato da grandi scrittori che sarebbero venuti a celebrarlo in un convegno  come Mario Vargas Llosa, Javier Marías, Abraham Yehoshua. E’ il romanzo che ci ha fatti uscire dal romanzo ottocentesco, un romanzo storico anomalo perché rilegge i fatti dalla prospettiva della psiche, ha le caratteristiche del romanzo psicologico alla Virginia Woolf,  una storia di trauma interiori e non di eventi esterni.

La questione ideologica non c’entra va bene, c’è sul fondo, ma non è propriamente lei la causa delle resistenze. E’ un discorso da precisare meglio, lo riconosco e lei fa bene a farmi questa domanda. Per approfondire meglio posso dire che “Il Gattopardo” rimane comunque un romanzo scomodo, dirompente, micidiale perché si innesta nella mancata metabolizzazione da parte degli italiani del Risorgimento, se rileggiamo bene oggi l’esito di quella stagione di riunificazione della nazione italiana possiamo dire che il Risorgimento è stato un processo la cui parabola ci ha condotti dritti fino al fascismo, perché diciamolo francamente la monarchia dei Savoia non era affatto per la democrazia, tutt’ al più lo erano i liberali alla Giolitti. Sono i Savoia ad averci portato al fascismo. Inoltre il risorgimento ha spaccato l’Italia inesorabilmente in due parti e la frattura tra Nord e Sud è così imperante da avere segnato sensibilmente perfino le ultime elezioni politiche. Il successo del libro viene da questo: la gente era povera, disperata alla fine della seconda guerra mondiale, non le si poteva mettere la museruola e così sono cadute le scaglie dagli occhi alla gente distrutta che ha pensato: “ci avevano detto che questo era il progresso, ma invece siamo stati fregati”».
 
Dunque arriva il Gattopardo e interpreta non solo teoricamente, ma plasticamente e letterariamente, con una storia e dei personaggi straordinari, questo disagio. Un disagio che ha radici lontane, nel Risorgimento, e un’onda lunga dal momento che secondo Lanza Tomasi questo processo ha il suo apice nel fascismo, come se le ambiguità del Risorgimento esplodessero nella dittatura mussoliniana. In questo clima era normale che oppositori al Gattopardo ce ne furono di tutti i tipi, ma il romanzo sembra non essere affetto da distacco storico e irenismo polveroso,  facendo invece cogliere gli snodi della storia, il mancato sviluppo, le contraddizioni e il fallimento di alcuni tornanti decisivi della storia italiana.
 
Facciamo presente a Lanza Tomasi che, una volta archiviata la querelle ideologica sul Gattopardo, rimangono alcune critiche famose al suo impianto non solo letterario, come quella  di Alberto Asor Rosa che ha criticato duramente alla fine degli anni novanta l’interpretazione fornita da Francesco Orlando nel famoso saggio «L' intimità e la storia» (Einaudi), dove si ribaltavano i pregiudizi e si approfondiva la prospettiva novecentesca, moderna e psicologica del Gattopardo con riferimenti espliciti a Proust, Joyce, Woolf e la tesi che il pregio del romanzo è di essere stato “scritto con punto di vista aristocratico interno”, fornendoci per la prima volta, rispetto alla tradizione di Verga e del Mastro Don Gesualdo una lettura centrata sui vissuti, sui sentimenti, sull’interiorità. Vi è poi il forse eccessivo e roboante paragone di un Principe Don Fabrizio di Salina, riflessivo, pensoso, ma anche cinico e disinvolto nelle decisioni, all’Amleto shakespeariano, mentre forse potrebbero passare i paragoni fisici con don Chisciotte o  Falstaff. Tolstoj è evocato invece per l’analogia tra le scene finali tragiche del capitolo VIII dove, dopo il gran ballo del capitolo VII, Don Fabrizio, che fa i conti con la vecchiaia, con l’amore impossibile per Angelica Sedara, in lacrime, con la morte che sopraggiunge e le pagine, più intrise di moralismo e di inibizione religiosa di «Morte di Ivàn Ilivc».
 
Asor Rosa rincarava la dose definendo il Gattopardo un romanzo «mediocre», esempio perfetto del fatalismo siciliano. Anche se il romanzo viene scritto lukàcsianamente a partire dal punto di vista di una classe cioè dalla parte della nobiltà siciliana, questo dato avrebbe poco valore dal momento che quella nobiltà non ha mai vissuto nessun dramma e ha avuto un ruolo poco significativo nella storia europea. Da quanto abbiamo detto invece questo fatalismo sembrerebbe assente in un romanzo di rottura e di tragica presa di coscienza. Lanza Tomasi si accende: «Questa è un’opinione di Asor Rosa. Said nel saggio sull’orientalismo ha fatto capire che la frase sul trasformismo in realtà vuol dire “Se tu non cambi la storia ti seppellisce”, muovendo ad un dinamismo e a una consapevolezza dell’azione che lega Lampedusa al filone Vico e Gramsci.  Louis Aragon nel suo saggio “Il Gattopardo e la Certosa”, pubblicato in“Lettres françaises”, risponde indirettamente ad Alberto Moravia, da cui aveva sentito definire il romanzo “un successo della destra“, e dice che come i romanzi di Balzac, la storia del Principe di Salina, mostra come il capitalismo sarebbe morto necessariamente per consunzione interiore sulla scia di Gyorgy Lukàcs. Togliatti a quel punto disse ad Alicata di finirla con le critiche perché, anche se l’Italia faceva parte del Comintern, dal punto di vista culturale la linea doveva essere quella del comunismo francese».
 
Nonostante il suo fascino, la tesi di Aragon resta molto controversa, sembra un po’ pretestuosa, condizionata com’è dagli schemi dell’ormai superata critica marxista.  Sulla teoria di Lukàcs il discorso sarebbe ancora più complesso anche rispetto alla tesi per cui solo il punto di vista di una classe che incarna una propulsione al progresso, può avere un ruolo di generazione letteraria, anche se questa classe dinamica, come ad esempio la borghesia, è destinata a decadere e lasciare il posto ad un’altra classe, il proletariato, seguendo gli schemi deterministici del materialismo dialettico. Resta il fatto che il Gattopardo è un romanzo dirompente nonostante una certa patina di anacronismo linguistico- culturale e l’aura retriva, ma cinicamente orientata al flusso della storia, del suo protagonista. Lo conferma anche Lanza Tomasi citando il padre adottivo: «Gli aspetti reazionari ci sono, ma appartengono semmai al distacco aristocratico del principe di Lampedusa. Per il resto qualsiasi lettore coglie la sua carica esplosiva. Perfino un tassista palermitano mi ha citato per esempio l’episodio della visita del senatore Tassoni nell’ultimo capitolo dove si svelano le finzioni reciproche dei personaggi e  “un’altra pala di terra fu messa sul tumulo della verità”. Peccato che l’editore mostri una tale disattenzione per questo scrittore capace di profezia».
 
 
 
 
 

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