Gallera tre ore dai pm per la mancata zona rossa a Bergamo

Gallera tre ore dai pm per la mancata zona rossa a Bergamo
di Claudia Guasco
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Venerdì 29 Maggio 2020, 11:03 - Ultimo aggiornamento: 13:31

Per tre giorni, dal 2 al 5 marzo, duecento uomini tra polizia e carabinieri hanno fatto base all'Hotel Continental di Osio Sotto, alle porte di Bergamo. Erano pronti a isolare la città e tutta la provincia, focolaio del Covid, come avvenuto a Codogno. Ma il via libera non è mai arrivato: niente zona rossa, pronto soccorso di Alzano Lombardo chiuso e riaperto in un pomeriggio, 7.700 morti nella bergamasca e 1.998 decessi nelle case di riposo.

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DOPPIO FASCICOLO
Su ciò che è accaduto e non ha funzionato è stato ascoltato ieri dai pm, dalle cinque alle otto e mezza di sera, l'assessore al Welfare Giulio Gallera. E questa mattina alle dieci tocca al governatore lombardo Attilio Fontana. «Preoccupato? No, non scherziamo. Veniamo qui a fare i testimoni. È un atto dovuto», afferma Gallera, con la mascherina calata sul volto. Esce da un varco secondario, dopo l'audizione con il procuratore aggiunto Maria Cristina Rota e i sostituti Silvia Marchina e Paolo Mandurino. Sull'istituzione della zona rossa che avrebbe dovuto isolare Nembro e Alzano Lombardo, i due comuni dove ai primi di marzo era stato individuato il secondo focolaio di Coronavirus in Lombardia, la Regione «aspettava» che si muovesse il Governo, avrebbe detto Gallera. Soltanto in un secondo tempo, ci si era resi conto che esisteva una legge che permetteva anche alla Regione di procedere con la creazione della zona rossa nella Bergamasca.

Due settimane fa era stato ascoltato il direttore generale del Walfare Luigi Cajazzo, il quale ha spiegato che la decisione di chiudere solo per poche ore il pronto soccorso di Alzano la sera del 23 febbraio è stata presa «in accordo con la direzione generale dell'Asst di Bergamo est»», con la rassicurazione che i locali «erano stati sanificati e c'erano già i reparti separati Covid e no Covid». Eppure, come si evince dalla relazione dell'Agenzia di tutela della salute, già dal 13 febbraio pazienti con sintomi sospetti erano ricoverati nel reparto di medicina generale. «Covid e non Covid si trovarono insieme negli stessi reparti? Si poteva evitare?», chiede nell'esposto che ha dato il via alle indagini il bergamasco Stefano Salvi, assistito dall'avvocato Benedetto Bonomo. Il documento cita testimonianze di parenti dei malati, come quella di Francesco Zambonelli: «La notte che è spirata mia mamma, il 22 febbraio, le infermiere giravano con le mascherine, cosa mai vista nei giorni precedenti. Ma nessuna contromisura è stata adottata».

«NESSUN ACCORGIMENTO»
Racconta Francesca, nipote di un'anziana ricoverata: «Il 23 febbraio, quando vengono accertati i primi casi, mio zio è con mia nonna. Viene fatto uscire senza particolari accorgimenti, nonostante fossero in Medicina, il reparto dov'è stato trovato il Covid-19. Poi ci siamo ammalati tutti ma nessuno ci ha fatto il tampone. La nonna è morta in due giorni». A ore si presenterà in Procura, sempre come persona informata sui fatti, il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti: «Nelle riunioni che abbiamo avuto tra fine febbraio e i primi di marzo - ha detto Bonometti - la Regione è sempre stata d'accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro».

 
 
 
 
 


 

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