Fidanzati uccisi a Lecce, il killer: «Ero arrabbiato, li ho ammazzati dopo il rifiuto di una ragazza»

Lecce, il killer dei fidanzati: «Ero arrabbiato, li ho uccisi dopo il rifiuto di una ragazza»
di Alessandro Cellini
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Venerdì 9 Ottobre 2020, 09:02 - Ultimo aggiornamento: 15:51

Una doppia delusione d'amore può spiegare, almeno in parte, la ferocia che ha animato la mano dell'assassino di Eleonora Manta e Daniele De Santis, i due fidanzati di Lecce uccisi il 21 settembre scorso? Sembra trapelare questo dal verbale d'interrogatorio di Antonio De Marco, il 21enne di Casarano arrestato con l'accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà.

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UNA RABBIA CIECA
Davanti al giudice per le indagini preliminari Michele Toriello e al pubblico ministero Maria Consolata Moschettini, De Marco ha ripercorso non solo le fasi dell'assassinio, ma anche ciò che lo ha portato, a suo dire, a covare una rabbia apparentemente cieca, ad accumulare un malcontento che è poi sfociato nel delitto.

Si era innamorato di una compagna di corso, Antonio De Marco. Un amore non corrisposto, perché quando lui si è dichiarato, lei «mi ha detto che dovevamo restare amici». Così spiega il 21enne al gip, alla presenza dei suoi due legali, gli avvocati Andrea Starace e Giovanni Bellisario.

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Il ragazzo risponde a monosillabi, il più delle volte. Aggiunge poco a ciò che gli inquirenti già sanno, e spesso le sue risposte sono un disarmante «non lo so». Anche su questo amore non ricambiato, il ragazzo non sembra voler dire molto. Dopo essere stato respinto, per così dire, i due continuano a frequentarsi in ambiente universitario; se non altro perché seguono le stesse lezioni e svolgono entrambi il tirocinio all'ospedale Vito Fazzi. E così il gip gli chiede: «Questo può essere stato un ingrediente della tua rabbia? Il fatto di essere stato... neanche respinto, voglio dire, non è che ti ha negato l'amicizia, ti ha detto che non voleva essere fidanzata con te». «Sì», è la risposta lapidaria di De Marco.


In precedenza un altro episodio simile aveva in qualche modo segnato l'anima di un ragazzo che in seguito si sarebbe trasformato in un killer. È il pm Moschettini a farlo venire alla luce. «C'è stata anche un'altra ragazza», dice De Marco. «Si chiamava Eleonora, tre o quattro anni più piccola». Lei andava al liceo, lui era già iscritto al corso di Scienze infermieristiche. «Mi sono dichiarato, le ho detto che mi piaceva e...». Anche qui un no. «Forse ne aveva un altro, stava pensando a un altro, comunque non...». La coincidenza dei nomi non sfugge: la liceale di cui si era innamorato si chiama come la vittima, Eleonora. E infatti il pm chiede: «Quando Daniele ti ha presentato Eleonora, in quel momento ti è venuta in mente la vecchia Eleonora?». «No», risponde lui.


In tutto l'interrogatorio, in ogni caso, emerge il profondo turbamento vissuto negli ultimi anni da De Marco. In più di un'occasione lui richiama la sua solitudine. «Ricordo molta rabbia, e ogni tanto avevo... non lo so, come delle crisi in cui scoppiavo a piangere all'improvviso». Crisi ricollegate, dice, «forse al fatto che mi sentivo come vuoto, solo». Una rabbia incanalata almeno in una occasione in un gesto autolesionistico.


LA CICATRICE
È lui stesso a raccontarlo, mostrando una cicatrice alla caviglia destra: «Me la sono fatta da solo, mi sono ustionato con la lama di un coltello». Poi nella sua testa scatta qualcosa. Balena improvvisamente l'idea di far del male a qualcun altro, e non più a se stesso. «C'erano dei momenti in cui magari pensavo di farlo e poi mi tiravo indietro. Un gesto eclatante, fare dolore agli altri». E allora perché proprio Daniele ed Eleonora? «Non lo so, forse perché loro erano felici, mi sembravano felici».
 

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