Fabrizio Nonis, il "Beker" della tv picchiato con il figlio fuori dallo stadio di Verona

La curva dell'Hellas Verona e Fabrizio Nonis
di Claudio De Min
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Domenica 29 Agosto 2021, 12:57 - Ultimo aggiornamento: 13:33

VERONA - Doveva essere una serata diversa dalle altre, una bella serata di fine agosto allo stadio in pieno relax, per la prima volta dopo tanto tempo: pizza, partita e poi a casa. Padre e figlio. Ma per Fabrizio Nonis, veneziano, 58 anni, notissimo volto televisivo del mondo dell’enogastronomia (Gambero Rosso Channel, Canale 5, Alice Tv), ma anche scrittore, giornalista, organizzatore di eventi, macellaio (“titolo” riportato anche nel suo format televisivo “Beker on tour”), testimonial del cibo e del vino buono, e Simone, 22 anni, è diventata all’improvviso una serata da incubo. L’uscita dallo stadio Bentegodi, dopo Verona-Inter, la passeggiata per tornare alla macchina, parcheggiata a una decina di minuti di distanza, chiacchierando del più o del meno e poi, di colpo, l’incubo che prende forma senza nemmeno il tempo di capire. E che Fabrizio, il giorno dopo, racconta così: «Ero a Mestre per motivi di lavoro e visto che a Verona c’era una partita interessante abbiamo deciso di andare. Sono riuscito a trovare due accrediti, siamo partiti per tempo, abbiamo cenato in pizzeria e poi siamo andati allo stadio».


Dentro tutto è filato liscio, nessun problema: «Abbiamo visto la partita assieme a tifosi interisti e veronesi mescolati.

E anche fuori l’atmosfera sembrava serena».


PRESI DI MIRA
Invece...«Ci siamo incamminati vero l’auto che avevamo parcheggiato, senza saperlo, dietro la curva degli ultras veronesi, stavamo parlando del più e del meno quando ad un tratto, da un gruppo di qualche centinaio di persone si sono staccati in sei o sette, tutti grandi e grossi che, con fare minaccioso hanno cominciato a urlarci chi eravamo, cosa facevamo, per quale squadra facevamo il tifo. Uno ha chiesto l’ora a mio figlio, non ha fatto in tempo a digliela, un pretesto».
Fabrizio e Simone non reagiscono, cercano di spiegare, anche se spiegarsi con certa gente non è facile: «Gli ho detto che eravamo veneti, che non facevamo il tifo per nessuna squadra, che eravamo lì solo per passare una serata diversa, in effetti io simpatizzo un po’ per l’Udinese ma non sono certo un fanatico. Loro hanno continuato a urlarci in faccia e all’improvviso mi è arrivato un pugno in faccia, secco, sono finito a terra, mio figlio ha cercato di aiutarmi, ma hanno cominciato a colpire anche lui. Mi sono rialzato e nel tentativo di scappare ho attraversato la strada rischiando anche di essere investito da un’auto di passaggio».


SERATA DA INCUBO
Due-tre minuti di terrore, il peggio sembrava passato invece non era finita: «Quando siamo stati nei pressi dell’auto e stavamo per salire ci siamo accorti che ci avevamo seguito, altre botte, spintoni, calci. Poi, evidentemente soddisfatti, o forse perché distratti dall’arrivo di altre persone, si sono dileguati».
A quel punto? «Siamo saliti in macchina, ci siamo allontanati dal luogo e abbiamo chiamato il 118. Sono stati velocissimi, quando sono arrivati ero dolorante e sanguinante. Ci hanno portato in pronto soccorso. Ci hanno fatto tutti i controlli del caso. A mio figlio hanno riscontrato botte ed escoriazioni, a me è andata peggio, perforazione del timpano destro e microfrattura allo zigomo. Poi siamo tornati a casa, siamo arrivati alle cinque del mattino ma, naturalmente, dormire è stato impossibile. I violenti? Tutti personaggi conosciuti, ci hanno detto gli agenti».
Un’aggressione senza alcun motivo, ammesso che ne esista uno di motivo, per prendere a calci e pugni un paio di persone indifese che passano per strada: «Nessuno, zero, solo la voglia di far male, solo la sete di violenza immotivata. Non avevamo sciarpe di alcun tipo e persino i nostri vestiti erano totalmente neutri, non potevamo essere identificati per tifosi e in effetti non lo siamo. Oltretutto in quel momento non stavamo neanche parlando della partita. Era gente che voleva fare del male, violenti e brutali. E non erano neppure ubriachi, mi sembravano lucidissimi e determinati, un agguato in piena regola».
Costernazione, impotenza, amarezza: per Fabrizio e Simone impossibile farsi una ragione di tanta brutalità del tutto gratuita: «E’ stata una delle serate più sconvolgenti della mia vita. Il tutto è durato un quarto d’ora, ma mi chiedo come sia possibile che in una città come Verona possano succedere cose del genere. Ho girato il mondo ma neanche nei posti più malfamati del Sudafrica, ma neanche a Soweto ho visto cose simili e ho avuto così tanta paura».
Nessuno, ovviamente, è intervenuto per dissuadere gli aggressori: «E’ vero, c’era gente in giro, ma in fondo io li capisco. Se qualcuno si fosse intromesso, o era uno come loro, oppure avrebbe fatto un brutta fine, si vedeva che erano cattivi e volevano fare del male a prescindere, e non si sarebbero fermati facilmente».

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