Ansiolitici nel cappuccino della collega per un anno: «Non volevo perdere il posto». Incastrata dalle telecamere

Ansiolitici nel cappuccino della collega per un anno: «Non volevo perdere il posto». Incastrata dalle telecamere
di Giacomo Nicola
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Mercoledì 14 Ottobre 2020, 10:30

TORINO «Non volevo perdere il posto di lavoro». E così per quasi un anno ha versato degli ansiolitici nel cappuccino della collega. Con la speranza che facessero fare un passo falso alla rivale. Un copione da film che ha per sfondo un'agenzia di assicurazioni di Bra, in provincia di Cuneo. Ed è proprio qui che circa un anno fa la direzione ha annunciato dei tagli. Alcune figure, in quanto doppioni, erano più a rischio di altre. Da qui la decisione di una dipendente dell'agenzia che per quasi un anno ha versato gli ansiolitici nel cappuccino della collega concorrente per farle commettere qualche errore e assicurarsi così il posto in ufficio.

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«NON È VERO»
Lei continua a dichiararsi innocente, ma le telecamere dei carabinieri raccontano un'altra storia.

La donna, un'impiegata di 53 anni, è stata condannata dal tribunale di Asti a quattro anni di carcere per lesioni personali aggravate con rito abbreviato. Incensurata, non è mai stata sottoposta ad alcuna misura cautelare restrittiva. Tutto è iniziato a ottobre del 2017. L'escamotage usato dalla dipendente verso la rivale è stata la pausa caffé del mattino. La donna condannata in primo grado, infatti, era incaricata per tutto l'ufficio di andare al bar di fronte all'agenzia a prendere caffè e cappuccini per tutti ogni mattina. Ha iniziato così ad allungare quello della collega con le benzodiazepine, ansiolitici in quantità elevata che hanno fatto effetto quasi subito sulla rivale. La vittima infatti ha iniziato ad avvertire sonnolenza, riflessi rallentati e una serie di malesseri  che -  secondo i periti incaricati -  possono spiegarsi solo con l'ingestione di dosi massicce di quelle sostanze. L'avvelenamento da ansiolitici è proseguito, a fasi alterne, fino a giugno 2018 quando i carabinieri hanno smascherato il piano della donna. La vittima, prima di sospettare della collega, ha passato lunghi periodi a casa, sottoponendosi a molte visite per capire quale fosse il problema, ma nessun specialista era riuscito a trovare l'origine dei suoi malesseri.


UN UNICO INDIZIO
Un unico indizio: la donna si accorgeva di stare meglio quando era a casa e peggio dopo le mattinate trascorse in ufficio. E così aveva cominciato a sospettare del cappuccino nella pausa caffé, al punto che per un periodo aveva deciso di sospendere il rito del mattino con grande disappunto della collega. I carabinieri - che hanno condotto le indagini - hanno poi seguito la sospettata al bar notando che prima di portare il vassoio in ufficio aggiungeva qualcosa in una delle tazzine. In alcune di queste occasioni la dipendente è stata anche filmata dagli investigatori. La prova principale portata dall'accusa, sostenuta dal pm Donatella Masia, è però l'esame su un campione di cappuccino che la vittima aveva fatto analizzare quando aveva iniziato a sospettare che quella fosse la causa dei suoi mali. La bevanda esaminata conteneva quantità elevatissime di benzodiazepine. Nelle motivazioni della sentenza depositate a settembre il giudice Giorgio Morando, ha spiegato come, alla luce di alcuni episodi avrebbe potuto prefigurarsi anche il reato di tentato omicidio, un'ipotesi non contestata dall'accusa che ha chiesto la condanna dell'imputata per lesioni aggravate.
Una sera, infatti, la vittima aveva avuto un brutto incidente in auto ed era finita contro un albero e il sospetto è che gli ansiolitici possano aver influenzato la sua lucidità alla guida.  I legali della donna, Alberto Pantosti e Pietro Merlino, hanno annunciato ricorso in appello. Nel cappuccino secondo la tesi difensiva ci sarebbe infatti stata una tale quantità di ansiolitici che la persona, bevendolo, sarebbe crollata immediatamente a terra, al contrario, la vittima andò al pronto soccorso, con lievi manifestazioni di malessere.
Giacomo Nicola
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