Cugine morte sulla A 28. «Ho visto arrivare il suv a tutta velocità e uccidere mia figlia e la cugina, quel maledetto paghi in galera»

Il padre di Jessica Fragasso racconta la tragedia: stavano tornando da una gita a Caorle

Jessica Fragasso e Sara Rizzotto
di Valeria Lipparini
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Martedì 1 Febbraio 2022, 12:20 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 02:00

CONEGLIANO (TREVISO) - Riavvolgere il film della memoria. E fermarlo a quei pochi istanti che hanno cambiato la vita di due famiglie, è talmente doloroso che non riesce a bloccare le lacrime. Si torce le mani, si piega come se le gambe non lo reggessero. Ma va avanti. Quasi dovesse percorrere quel calvario, ancora una volta, per stamparselo nella memoria e non farlo uscire più. «Sarà il suo ricordo a darmi la forza. E sarà la rabbia a farmi pretendere giustizia». E poi dice, assicurando che sarà la sua missione: «Voglio vedere il pirata della strada condannato. Niente altro mi terrà in vita. Voglio che paghi, voglio giustizia». Alain Fragasso è il papà di Jessica, la ventenne morta nell'incidente di domenica sera lungo la A28. È a casa del cognato, Luca Rizzotto, fratello di sua moglie Barbara. Due famiglie. Due dolori. Due vite intrecciate, quella di Jessica e Sara, saldamente legate l'una all'altra, che si sono spezzate nello stesso istante di quel terribile schianto.


Cosa ricorda di quei terribili momenti?
«Ricordo tutto.

Avevamo fatto una gita insieme, a Caorle, e stavamo rientrando a casa. Eravamo tra Azzano Decimo e Villotta di Chions, a 20 minuti da casa. Davanti, in 500, io e mia moglie. Dietro, nella Panda, mia figlia Jessica, la cugina Sara e le sue due figliolette, una di 5 mesi e l'altra di due anni e mezzo. Sara era al volante con, a fianco, la più piccola posizionata nel seggiolino per neonati con il visetto rivolto verso il sedile, come prescrive la normativa della strada. Nei sedili posteriori Jessica e l'altra figlia».


Poi, cosa è successo?
«Ho sentito un botto terribile. Ho guardato lo specchietto con il cuore in gola. In un attimo i miei peggiori incubi si sono materializzati. L'auto di mia figlia e mia nipote era stata tamponata da dietro e buttata con una tale violenza a destra, contro il guardrail, da risultare schiacciata. Finestrini scoppiati, portiere che non c'erano più. La parte posteriore praticamente annientata. Ho visto un suv nero, un Land Rover Defender, carambolare e arrivare come un proiettile contro la nostra auto. Poi rimbalzare, carambolare ancora e finire nella carreggiata di sinistra».


Che ha fatto?
«Non ho capito più nulla. Ricordo che sono saltato giù dall'auto e sono corso verso la Panda. Lì c'era mia figlia e le mie nipotine. Tutta la mia vita racchiusa in una scatola di latta azzurra schiacciata, distrutta, polverizzata. Ho visto il volto di mia figlia. Aveva sangue e gli occhi chiusi. Ho infilato una mano dentro al finestrino. Ho urlato il suo nome e le ho accarezzato le guance. Volevo vedere se mi rispondeva. Non si è nemmeno mossa e ho pensato che era morta. Di Sara vedevo solo le gambe: era intrappolata. Nemmeno lei dava segni di vita. Non si lamentava, non piangeva. Ho urlato tanto. Poi, ho parlato in tono più calmo. Ho chiamato Jessica, Jessica. E poi Sara, Sara. Silenzio, nessuna di loro rispondeva. Ad un certo punto ho sentito una bimba che si lamentava. E l'ho vista. Era ancora ancorata al seggiolino. L'unica cosa rimasta nello stesso posto dopo l'urto terrificante. Si lamentava, piangeva e diceva che aveva tanto male. Ho cercato di rincuorarla. Le ho detto coraggio, piccola mia, adesso ti tiriamo fuori di lì e intanto piangevo. Dentro di me urlavo e mi pareva di morire. Dopo ho cercato la sorellina. Ma la più piccolina non c'era. Era come sparita. Non capivo dove fosse finita. Piangevo, pregavo e sentivo mia moglie in preda alla disperazione. Ma non potevo consolarla. Non avevo più forze. Ero come morto anch'io. Eppure, dovevo reagire».

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Poi, cosa è successo?
«Ho continuato a parlare a tutte e quattro. Non so come ho fatto. Ho sperato. Ho sperato tanto. Ma dentro di me non ci credevo. Sono arrivati i soccorsi. Ambulanza, carabinieri, vigili del fuoco. Ho affidato a loro le mie due famiglie. Ho sperato che gli angeli del Paradiso me le salvassero, tutte e quattro».


Come ricorda sua figlia?
«Era la nostra unica figlia, l'amore della nostra vita. Non so come riuscirò ad alzarmi, domani mattina, e continuare a sopravviverle. Era buona, brava, studiosa. Amava ballare, faceva hip hop e partecipava a delle gare. Studiava all'Università. Penso anche al suo ragazzo. È a Torino, sta seguendo l'Accademia per diventare carabiniere. Quanto dolore. Quanto dolore».


Perdonerà mai il pirata che dopo l'incidente ha tentato di darsi alla fuga?
«Finchè avrò vita non avrà mai il mio perdono. Spero solo che quel maledetto paghi. Devono sbatterlo in galera e buttare via la chiave. Non so cosa darei per averlo qui, davanti a me, tra le mie mani. Non so cosa gli farei».

 

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