Covid, i genitori "nuovi poveri": «Tre mesi a casa dei nonni, non potevo pagare la tata»

Covid, i genitori "nuovi poveri": «Tre mesi a casa dei nonni, non potevo pagare la tata»
di Valeria Arnaldi
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Domenica 18 Ottobre 2020, 07:49 - Ultimo aggiornamento: 12:56

«Mio marito ed io siamo in smart working, con i bimbi ci siamo dovuti trasferire per tre mesi dai miei suoceri e poi dai miei genitori. Non saremmo riusciti a pagare la baby sitter. Siamo usciti da casa nostra a marzo e tornati a settembre». Maria Ricci, romana, 43 anni, assistente informatica, è sposata e madre di due figli, rispettivamente di 6 e 8 anni. Improvvisamente, con il lockdown e le misure per l'emergenza sanitaria, si è trovata a fare i conti con necessità e spese che non poteva sostenere.

«In famiglia abbiamo due stipendi, ma uno è per il mutuo, l'altro in pratica sarebbe servito per pagare la baby sitter - spiega - Lavorando entrambi da casa, non avremmo potuto svolgere le nostre attività e seguire contemporaneamente i bimbi tra video-lezioni e compiti.

Avremmo dovuto pagare una baby sitter nove ore al giorno dal lunedì al venerdì. Impensabile. Avremmo dovuto vendere casa per farlo. Oppure, io avrei dovuto prendere un congedo dal lavoro e non so se sarebbe stato possibile. Siamo stati fortunati: senza l'aiuto dei nostri genitori non ce l'avremmo fatta». Maria è una delle tante donne che, nel lockdown, si sono trovate a doversi dividere tra lavoro, figli, spese. È stata «fortunata», come dice, molto più di tante altre. Le donne, «più fragili e svantaggiate sul piano occupazionale e spesso portavoce dei bisogni dell'intero nucleo familiare», italiane, intorno ai 40 anni e con figli, infatti, spiccano tra i nuovi poveri nel Rapporto Caritas 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Gli anticorpi della solidarietà, presentato in occasione della Giornata mondiale di contrasto alla povertà.

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IL RAPPORTO
Se l'anno scorso, emergevano con forza come volontarie, oggi le donne si ritrovano, in molti casi, a chiedere aiuto. Il report tratteggia un ritratto cupo del Paese. È chiaro. L'emergenza sanitaria ha portato a un sensibile incremento dei nuovi poveri: dal 31% di maggio-settembre 2019 si sale al 45% del medesimo periodo 2020. «Quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta», si legge. Le donne dal 50,5% del 2019 sono diventate il 54,4%. I giovani tra 18 e 34 anni, dal 20% sono saliti al 22,7%. Gli italiani che erano il 47,9% ora sono il 52%. I coniugati dal 44,1 sono passati al 46,2. Le persone con figli dal 73,5 al 75,4, e con figli minori dal 42,1 al 44. Le famiglie con parenti a carico da 52,3 al 58,3. Tra gli assistiti, aumentano le persone in età lavorativa, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi. Diminuisce la «grave marginalità». A colpire duramente è stato il lockdown. Dal monitoraggio di aprile è emerso un incremento del 105% di nuovi assistiti, salito al 153% nel Mezzogiorno. Tra marzo e maggio, perlopiù, si è trattato di soggetti disoccupati o con impieghi irregolari fermi per il lockdown, dipendenti in attesa di cassa integrazione, precari o lavoratori intermittenti, al tempo senza ammortizzatori sociali. In generale, le persone seguite dalla Caritas, nel 2020, sono il 12,7% in più del 2019. «Si intravede dunque l'ipotesi di una nuova fase di normalizzazione della povertà, come accaduto dopo il 2008 - sottolinea il rapporto - A fare la differenza, rispetto a dodici anni fa è il punto dal quale partiamo: nell'Italia del pre-pandemia il numero di poveri assoluti è più che doppio rispetto al 2007, alla vigilia del crollo Lehman Brothers». Le difficoltà non sono finite. «Da quando siamo a casa - commenta Maria - i consumi sono aumentati, le bollette sono salite quasi del 35%. E noi siamo stati fortunati. Non so come abbiano potuto sostenere la situazione le madri single».

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