Covid, Cassese sul caos regole: «Manca un coordinamento, così il governo non garantisce dei parametri omogenei»

Covid, Cassese sul caos regole: «Manca un coordinamento, così il governo non garantisce dei parametri omogenei»
di Diodato Pirone
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Martedì 6 Ottobre 2020, 07:18 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 09:18

Sabino Cassese, ex giudice costituzionale, ex ministro, fra i massimi esperti di pubblica amministrazione non solo in Italia, autore di innumerevoli pubblicazioni fra le quali spicca l'ultimo libro di estremo interesse Il buon governo edito da Mondadori, da tempo non manca di sottolineare le molte criticità che stanno emergendo nella gestione del dossier Covid da parte dell'amministrazione italiana.
Professor Cassese, il balletto sulle responsabilità sulla partita non giocata fra Juve-Napoli è ancora in corso.  Tuttavia pare che le Asl diano disposizioni diverse alle varie squadre. Stesso discorso per la scuola: i presidi si trovano di fronte a indicazioni diverse da territorio a territorio. Fatto salvo che la gestione di una pandemia è difficile per tutti, che lettura dà del livello di confusione che sembra regnare sul piano amministrativo?
«Le diagnosi possono esser diverse, i criteri debbono essere comuni. Dunque, c'è qualcosa che non funziona, che si chiama coordinamento. L'Italia non è un paese ad Arlecchino e lo Stato non è una Repubblica delle banane. Il Servizio sanitario si chiama nazionale perché non è la somma di tanti servizi regionali o comunali, o di tante aziende sanitarie nazionale. In presenza di distonie (adopero volutamente un termine neutro) come quella da lei indicata, dovrebbe essere convocata la Conferenza Stato, regioni, autonomie locali e bisognerebbe raggiungere un accordo sui criteri, gli standard. Altrimenti i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) dove vanno a finire? Il governo dov'è? Si preoccupa solo di apparire in televisione?».
Eppure la Costituzione dispone in modo chiaro sulla catena di comando. Per favore lei che è stato anche giudice della Corte Costituzionale vuole ricordarle e spiegarle?
«La Costituzione all'articolo 117 prevede che la profilassi internazionale, e dunque una pandemia, sia di competenza esclusiva dello Stato. Non è stata seguita questa disposizione costituzionale. Si sono lasciati intervenire tutti i centri pubblici, regioni, comuni, Asl. Fatta questa scelta (sbagliata) bisognava allora però assicurare collaborazione, coordinamento, coesione. Lo strumento c'è ed è la Conferenza Stato, regioni, comuni. In uno Stato ben ordinato, dovrebbe sedere in permanenza e assicurare un servizio nazionale».
Sono più di sei mesi che l'Italia gestisce l'epidemia eppure continuiamo ad essere accompagnati da una  notevole dose di confusione. Perché?
«Potrebbe dirsi maliziosamente perché c'è un Governo, manca l'azione di governo. Oppure perché ci piace vivere nella confusione (ma ricorda il finale di quel magistrale film di Federico Fellini che è Prova d'orchestra?».
Cosa si potrebbe fare per uscirne?
«Le strade sono due: il governo centrale avoca a se ogni decisione; oppure governo, regioni, Asl si consultano, discutono, concordano una linea d'azione e la seguono».
Quanta parte di responsabilità nella confusione ha il governo e quanta i tecnici dei singoli ministeri che scrivono poi i singoli protocolli con i loro parigrado delle varie amministrazioni?
«La responsabilità maggiore è di chi guida, del governo in senso lato. Ma anche i tecnici dovrebbero far sentire maggiormente la propria voce. Pensi soltanto alla sanità. Abbiamo un ministero, l'Istituto superiore di sanità, una rete di prim'ordine di istituti e centri. Dovrebbero parlare loro, molto di più, o in luogo dei politici, per consigliare, orientare, correggere».
Non trova però che pochi esperti di amministrazione italiani siano scesi in campo per criticare e correggere gli errori commessi?
«Lei segnala una assenza di voce della cultura giuridico-amministrativa. Ma questo dipende da una certa incomunicabilità tra mondo della scienza e mondo delle comunicazioni».
Mi permetta una domanda di più ampio respiro. L'altro ieri un manager del livello di Giuseppe Bono, che a 76 anni dirige un'azienda leader mondiale come Fincantieri, ha detto che il Covid sta dimostrando che l'Italia continua a campare di rendita su quanto fatto negli anni 50 e 60. E' troppo pessimista? Cosa si deve fare non solo sul piano amministrativo per rompere quella cortina di conflitti di competenze e di  mediocrità che sembra avvolgere l'azione pubblica?
«Quelli furono gli anni del miracolo economico. L'Italia aveva un futuro. Oggi, abbiamo perduto di vista il futuro, viviamo alla giornata. Esempi: le forze politiche non hanno programmi, vivacchiano di slogan; i governi sono attenti alla comunicazione e ai sondaggi; l'elettorato è liquido e ondeggiante (basta vedere quali sono le forze politiche premiate negli ultimi anni e quanto rapidamente hanno perduto il loro seguito elettorale). Insomma, ci troviamo tutti insieme tra i marosi ma ognuno pensa per sé».

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