Il volontario negli obitori Covid: «Il mio inferno tra i morti, ho paura di scoprire mia madre tra loro»

I militari nell'obitorio Covid di Piacenza
di Valeria Arnaldi
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Venerdì 1 Maggio 2020, 12:26 - Ultimo aggiornamento: 12:33

File di carri funebri all’ingresso. Casse vicine le une alle altre. Parenti fuori dai cancelli, in lacrime, per accompagnare fino all’ultimo passo possibile, comunque lontano, i loro cari. Cristian Tramelli, 45 anni, arruolato nel corpo militare della Croce Rossa Italiana dal 2000, si occupa della gestione salme a Piacenza, la città dove è nato. E dove l’intervento del Nucleo gestione corpi senza vita del corpo militare - già impiegato anche nelle operazioni Melilli e Melilli 2 -  richiesto per fare fronte all’emergenza Coronavirus, ha installato tre container provvisti di unità frigorifere, dando così un contributo consistente all’attività del Crematorio, per garantire che tutto si potesse svolgere in ambito locale, senza dover inviare corpi a strutture in altri territori.

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«Sono impegnato sul posto dal 25 marzo scorso - racconta Tramelli - in alcuni periodi, all’inizio, si è raggiunto il picco di 40/50 perfino 60 casse al giorno, con la possibilità di gestirne in crematorio quotidianamente solo tredici. Ora la situazione si sta normalizzando ma i carri funebri sono ancora tanti all’ingresso. Penso sempre che in una di quelle casse potrebbe un giorno esserci mia madre. Tra le vittime ci sono state persone che conoscevo da quando ero bambino,  amici di mia mamma che mi hanno visto crescere. È stato straziante. Quando leggi i nomi nei necrologi sui giornali, pensi che fino al giorno con quelle persone ridevi e chiacchieravi».

«NON GUARDO I NOMI»
Tramelli quando lavora preferisce non guardare i nomi sulle bare. «Non leggo i nomi sulle casse che arrivano, so che non riuscirei a trattenere le lacrime, e non posso permettermelo: devo mantenere il sorriso per quelli che sono al mio fianco e per i parenti delle vittime, che vedo, distrutti, fermi al cancello del crematorio. Anni fa ho perso mio padre, comprendo perfettamente il loro dolore: sono figli, nipoti, compagni. Essere nel corpo militare CRI significa pure portare conforto. In questa situazione, non si può far vedere che si sta male. Ho pianto varie volte ma solo quando sono tornato a casa. Il responsabile della cremazione mi ha confidato che lo fa anche lui. Qui abitualmente lo standard era di otto salme al giorno, vederne passare così tante, per quanto si possa essere preparati, è inimmaginabile. Le persone che lavorano al crematorio lo fanno senza sosta, hanno occhiaie profonde, visi addolorati, dormono 4/5 ore al giorno». I passanti spesso fermano il militare per avere notizie. «Mi domandano se i numeri ufficiali dei morti sono uguali a quelli reali, se calano o crescono - prosegue - e alcuni fanno domande più personali, mi chiedono se ho visto i loro cari e se sono stati trattati bene. La gente vuole essere rassicurata». Il lavoro è complesso. Dal punto di vista emotivo ovviamente e pure per questioni tecniche. «I moduli che sono stati inviati qui sono quelli progettati per i teatri all’estero, usati anche nei terremoti, non sono pensati per accogliere casse, che sono necessarie per la cremazione, ma corpi. Abbiamo risolto il sistema con più celle frigorifere. Bisogna tenere sempre sotto controllo la temperatura per garantire la corretta refrigerazione. Al Crematorio si possono gestire tredici salme in 20 ore, il massimo di tempo consentito per l’accensione dell’impianto. Sono stato in servizio anche per terremoti, ma qui è peggio. Quando c’è un sisma, sai che il numero delle vittime a un certo punto si fermerà, qui non è così. E poi, i parenti dei defunti in un sisma possono dare loro l’ultimo saluto, con il coronavirus neppure questo è possibile».

IL CONTAGIO
Tramelli, che fa turni di monitoraggio sia di giorno sia di notte, non ha paura per il contagio. «Usiamo mascherina chirurgica, tute bianche e guanti. Quando il defunto è nella cassa non c’è rischio di contagio. Mi sono reso disponibile al richiamo volontariamente e sono felice di essere stato inviato a Piacenza, desideravo venire qui per poter essere utile alla mia città». Il corpo militare della Croce Rossa Italiana, impegnato anche in posti di blocco e nella gestione di diverse zone rosse in Italia, manterrà la postazione a Piacenza fino al 4 giugno e sarà disponibile qui e in altre aree per eventuali recrudescenze. «La situazione si sta normalizzando - conclude il militare CRI - l’ho detto, ma i trasporti funebri ogni giorno sono comunque tanti.

Ormai guardo il telegiornale solo una volta ogni quattro giorni. Non voglio sapere cosa mi aspetta al mattino, quanti morti arriveranno. Il 5 giugno, a incarico finito, per prima cosa andrò a fare una corsa. Ho già dato, però, la disponibilità per nuovi incarichi. Sono pronto a ripartire».

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