Coronavirus Venezia, prima l'incidente in barca poi il Covid: il primario si salva un'altra volta

Il dott. Tito Sala durante il primo ricovero nell'agosto del 2017
di Gabriele Pipia
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Mercoledì 22 Aprile 2020, 04:50 - Ultimo aggiornamento: 13:42

MESTRE Tredici agosto 2017. Il medico mestrino Tito Sala, primario di Otorinolaringoiatria all’ospedale padovano di Piove di Sacco, rischia di morire dissanguato durante una vacanza in Croazia. Il vortice dell’elica di un catamarano lo risucchia e una pala gli squarcia completamente una gamba. Si salva la vita da solo, tamponando la ferita con lacci e asciugamani che riesce a recuperare una volta salito a bordo. Venti marzo 2020: lo stesso medico, 67 anni, si trova di nuovo a lottare per la vita. Colpito questa volta dal coronavirus, viene intubato in un letto della Terapia Intensiva all’ospedale dell’Angelo. Questa volta non può salvarsi da solo, ma riesce di nuovo ad uscire dall’incubo. «Non sono un eroe - mormora lui con un filo di voce, ora che il peggio sembra passato -. Devo tutto ai medici straordinari che mi hanno curato». Tito Sala, in pensione da meno di un anno ma sempre in servizio con un ambulatorio a Mestre in viale Garibaldi, ora è ricoverato in terapia semi-intensiva.
«Purtroppo tante altre persone non ce l’hanno fatta - riflette - ma io voglio dare due messaggi. Il primo è che anche chi si trova in condizioni critiche può sopravvivere. Il secondo è che a curarci ci sono professionisti straordinari». Un ringraziamento commosso mentre dai colleghi mestrini e padovani continua ad arrivare un fiume di messaggi di sostegno. 

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LA LETTERA
A dire un sentito grazie, però, non è solo lui. La figlia Carlotta ha finalmente potuto riprendere a chiamarlo e intanto affida i suoi sentimenti anche ad una lunga lettera in cui la lucida ricostruzione dell’incubo si mescola con tante parole d’amore. «Caro papi, un mese e mezzo fa mi hai chiamata dicendomi che ti era salita la febbre e avevi un po’ di tosse. Ti hanno fatto il tampone e due giorni più tardi ti è arrivato l’esito positivo. Ti avevano detto comunque di stare a casa e non angosciarti. Da bravo medico quale sei ti sei preoccupato eccome e hai chiesto di farti fare le lastre in pronto soccorso. Da lì è venuto fuori che dovevi essere ricoverato urgentemente perché avevi un inizio di grave broncopolmonite. Sei stato ricoverato cinque settimane fa e dopo cinque giorni in reparto con la mascherina per l’ossigeno la situazione è precipitata. Ti hanno dovuto intubare. Non hai nemmeno potuto avvisarmi. Da quel giorno è passato un mese. Sei stato in terapia intensiva tre settimane, le più lunghe ed angoscianti della mia vita, in cui ricevevo una chiamata al giorno dall’ospedale con aggiornamenti sulle tue condizioni».

L’ANGOSCIA
Carlotta, 28 anni, ha temuto il peggio. «Non so neanche descrivere ciò che ho provato in questo periodo, ho perso il conto delle lacrime, delle preghiere, dei momenti di sconforto e di speranza, dei messaggi e delle chiamate di tutte le persone che ti e ci vogliono bene. Ancora una volta hai rischiato la tua vita, e di tutte le malattie e le brutte esperienze che hai avuto questa è stata la battaglia più lunga e più terribile che hai affrontato». 
Questa volta Carlotta non ha potuto stargli vicino e correre ad abbracciarlo, come era capitato quel maledetto giorno d’estate in Croazia. «Hai dovuto combattere da solo - scrive - e sei stato come al solito fortissimo. Non saprò mai esprimere la gratitudine che provo per quegli angeli che ti hanno guarito ed accudito salvandoti la vita, prima tra tutti il dottor Violo e la dottoressa Geremia». Dieci giorni fa il passaggio alla terapia sub-intensiva e poi i tamponi negativi. «Ce l’hai fatta, papà. Hai sconfitto il mostro. E a me esplode il cuore». Un atto d’amore di una figlia e un messaggio di speranza per altri pazienti. 
 

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