Trivulzio, il genero del calciatore La Rosa: «Ci dicevano che stava bene, dopo 72 ore è morto»

Trivulzio, il genero del calciatore La Rosa: «Ci dicevano che stava bene, dopo 72 ore è morto»
di Claudio Guasco
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Sabato 11 Aprile 2020, 11:13
L'esordio è stato con i dilettanti del Laveno Mombello, poi il grande salto in Serie A nella Pro Patria di Busto Arsizio e il debutto l'11 settembre 1949 contro la Roma. Francesco La Rosa, classe 1926, era un attaccante e in questo ruolo ha giocato tutta la vita: imprenditore, padre di tre figli, ha partecipato al boom economico di Milano. Mercoledì scorso, poco prima di mezzogiorno, è morto da solo in un letto del Pio Albergo Trivulzio. «In tre giorni se n'è andato. Ci sentiamo traditi. Mai avremmo immaginato accadesse una cosa simile», dice il genero Stefano Mansi, dipendente di Palazzo Marino.

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Da quanto tempo era ricoverato al Trivulzio?
«Da due anni. Abitiamo a San Siro, ma non era solo una questione di vicinanza: per Milano il Trivulzio è sempre stato un'istituzione, le nomine dei dirigenti vengono fatte dal Comune. Impossibile pensare a una tragedia di questo tipo».

In che reparto era?
«Al Bezzi. Si trovava benissimo, una bella struttura. Fino alla prima settimana di marzo potevamo andarlo a trovare, poi a metà mese per l'emergenza Covid l'accesso dei familiari è stato bloccato. Mia moglie telefonava alla caposala e le dicevano che stava benissimo. In realtà però da quando è iniziato il contagio era preoccupata, perché vedeva che nessuno del personale indossava le mascherine. Io per lavoro mi occupo di sicurezza e lo trovo incredibile. Ma come, un reparto con trenta degenti che pagano quasi 3.000 euro al mese e non hanno i soldi per le mascherine? Che tra l'altro, insieme ai guanti e alle altre protezioni di base, dovrebbero essere sempre indossati dagli operatori sanitari per proteggere persone così fragili».

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Come avete mantenuto i contatti con Francesco?
«Facevamo delle videochiamate, l'ultima quattro giorni fa. L'abbiamo visto molto pallido, sofferente. Mercoledì ci hanno chiamato: Ci dispiace, è morto. Abbiamo fatto tutto il possibile. Noi però sappiamo che non è così».

Perché?
«Per tenere informati i familiari, da quando è stato vietato l'accesso al pubblico, il Trivulzio ha creato una sorta di bollettino online. Fino a quattro giorni prima nel suo reparto non veniva segnalato nemmeno un caso di febbre, parlando con gli altri parenti abbiamo scoperto che alcuni pazienti del reparto stavano male. Quelli che mangiavano a tavola con lui erano tutti malati: non li hanno distanziati, non hanno preso alcuna misura per cautelare i degenti».

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Avete sporto denuncia?
«Lo faremo al più presto. Il Trivulzio è un simbolo della città, i pazienti sono tutti milanesi, capisco che la responsabilità non sia del sindaco, ma almeno potrebbe dire che gli dispiace. È una cosa ignobile. Se mio suocero è morto adesso, si è ammalato attorno al 20 marzo. Possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Capisco l'emergenza iniziale, ma dopo? Nessuno che indossava mascherine e guanti. Francesco è uno dei cittadini che ha fatto grande Milano, ha partecipato alla ricostruzione, abitava a Lambrate, ha lavorato tutta la vita gestendo concessionari di auto. E Milano gli ha voltato le spalle».

 
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