Coronavirus, nella paura dell'ignoto ci si aggrappa al frigo pieno

Coronavirus, nella paura dell'ignoto ci si aggrappa al frigo pieno
di Mario Ajello
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Mercoledì 11 Marzo 2020, 08:10

Ingressi scaglionati al Carrefour di Garbatella. In fila, all'ingresso, dove non c'è come quasi ovunque lo spazio legislativo di un metro tra una persona e l'altra, ci si diverte tutti insieme - i miei starnuti su di te, le mie risate mischiate alle tue ed è tutto poco asettico - a vedere sui telefonini quello spezzone del film in cui Albertone fa: «Mentre il mondo combatteva, io resistevo in cantina, chiuso, solo, senza luce, senz'acqua, con il vino, solo, il vino». «Ed è uscito - chiede a Sordi la sua spalla - quando è finita la guerra?». «No, quando è finito il vino». Risate nella coda dei romani pronti a entrare nel supermercato e a espugnarlo portandosi via tutto, e anche - qui come altrove - tanto vino. Visto che tocca stare chiusi in casa con la moglie o con il marito, tanto vale affrontare questa strana situazione un po' alticci.

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E comunque, molti negozi chiusi nel deserto romano, supermercati presi d'assalto di giorno e di notte, Coronavirus vissuto chissà perché come un insensato inizio di carestia - la Protezione Civile assicura: «Il cibo non finirà» - ma c'è un senso di affollata mestizia. Di comune consapevolezza di stare tutti pericolosamente sulla stessa barca. Di paura condivisa e solo in certi casi conflittuale (al megastore del Villaggio Olimpico l'altra notte hanno fatto quasi a botte per qualche pacco di spaghetti) e sarebbe pittoresco da raccontare, ma purtroppo così non è, un clima manzoniano da assalto dei forni (capitolo XII dei Promessi Sposi). «Pane! Pane! Aprite, aprite! Eran le parole più distinte nell'urlío orrendo della folla. E in risposta: giudizio, figliuoli! Voi andate, tornate a casa. Pane ne avrete ma non in questa maniera».

La maniera scelta dai romani terrorizzati, ma per lo più composti nello loro spaesamento da virus, è quella di fare incetta di tutto, «la guera è guera» come al tempo del bombardamento su San Lorenzo. E in attesa che il bacillo sterminatore raggiunga il massimo della sua potenza di fuoco, meglio non morire di fame: pasta (perfino le ingiustamente maltrattate penne lisce), fagioli e piselli in scatola, latte a lunga conservazione (non sia mai la quarantena duri un anno o due), caffè, tonno che non invecchia mai e surgelati che durano, ecco i prodotti più comprati. Il rischio, lo dicono tutti, è che stare inchiodati a casa a non fare nulla porta a mangiare sempre. E come minimo lo spettro del Coronavirus (a proposito, ecco al Flaminio la birra Corona e l'avvertenza: «Il virus non c'entra») fa ingrassare. Ma nella paura dell'ignoto ci si aggrappa al frigo pieno.

Intanto il servizio a domicilio di Amazon è al collasso per troppe richieste. Esselunga non garantisce sui tempi di consegna perché sono troppe le richieste. Idem gli altri colossi: «Il limite delle tre ore? In tempo di pace si poteva rispettarlo, ma adesso è l'inferno». Chi ironizza però sui romani che saccheggiano gli scaffali un po' si sbaglia. Alla Coop in Prati spiegano, e hanno ragione, che «se fai il pieno adesso, poi non esci di casa due, tre, dieci volte, e così che otre a tutelarti rispetti davvero le regole». Chi spende, e i casi non mancano, specie a Roma Nord, anche 500 euro di spesa in una botta sola è dunque un patriota più di quello che compra poco subito perché tornerà tante volte a comprare ancora anche se il governo gli dice che deve limitare le uscite?
La condivisione di una pena, anche alimentare, si compone di scene strane. Due amiche casualmente capitate nella stessa fila d'ingresso al supermercato di via Riboty dietro Piazzale Clodio, si riconoscono nonostante la mascherina e la sciarpa fin sopra al naso e non si parlano se non a gesti e da lontano: per non infettarsi. Talvolta capita addirittura nella ressa da supermercato che persone che si conoscono fanno finta di non conoscersi, per non mettere in comune i loro eventuali bacilli. E questo è un modo, magari scortese, per essere solidali e per difendersi a vicenda. E anche quest'altro lo è: «Nun ce se dà la mano, stammi lontano»: ecco il nuovo saluto in uso a Roma, nei supermercati e ovunque, che unisce un po' di paura perché il momento è tragico e un po' di classica autoironia da quiriti, gente che ne ha viste tante e le ha superate tutte. Ma stavolta è dura.

A via Flaminia c'è il mega store discount Fresco. Quasi di fronte c'e la mensa della Caritas. I clienti in fila fuori dal supermercato guardano dall'altra parte della strada i poveri in attesa del rancio e si sfogano: «Se l'emergenza continua, e l'economia continua a crollare, alla mensa della Caritas ci finiamo pure noi». Non improbabile. Anche se tutti speriamo che il virus si arrenda presto. Così si torna tutti al ristorante.
 

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