Coronavirus, Stefano Vella: «Epidemia in Africa? Il caldo può essere un nostro alleato»

Coronavirus, Stefano Vella: «Epidemia in Africa? Il caldo può essere un nostro alleato»
di Graziella Melina
4 Minuti di Lettura
Domenica 16 Febbraio 2020, 12:22

Come temuto dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il coronavirus cinese è arrivato in Africa. Una persona, fino a ieri, è risultata positiva in Egitto.«Non si tratta assolutamente di una situazione allarmante», ripete però più volte Stefano Vella, ex direttore del Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto Superiore di Sanità e docente di Global Health all’Università Cattolica di Roma. La ragione? «Si tratta semplicemente di un solo caso».

Eppure a sentire le dichiarazioni dell’Oms non c’è affatto da stare tranquilli, visto che in Africa i sistemi sanitari sono deboli. Perché lei è convinto del contrario?
«È chiaro che un contagio poteva succedere, con i viaggi che ci sono adesso in tutto il mondo. Semplicemente è una delle cose che ci aspettavamo. Ma si tratta di un caso asintomatico, importato, di una persona cioè che si è presa il virus da qualche altra parte».


Stefano Vella

Ma non si può escludere che non vengano fuori altri casi. La preoccupazione è che in Africa non siano ancora in grado di diagnosticarli. 
«In quel caso sarebbe un bel problema. Ma, ribadisco, in Africa al momento non c’è un’epidemia da coronavirus. In Africa poi in questo periodo è come se fosse agosto. Ha mai visto ammalarsi qualcuno di influenza d’estate? Questa è una malattia respiratoria stagionale, a Wuhan adesso è inverno. Noi abbiamo a che fare con dei coronavirus ogni volta che ci raffreddiamo. Penso che la nostra preoccupazione sia soprattutto che questo è un virus nuovo. In sostanza, è come se fosse una nuova epidemia influenzale».

Sta dicendo che la malattia da coronavirus e l’influenza siano simili? Qualche suo collega sostiene che il coronavirus causa la polmonite virale, che può portare alla morte.
«Ma anche l’influenza causa la polmonite virale. Sennò come muoiono quei poveretti che prendono l’influenza? Pensi che in Italia ha contagiato 5 milioni di persone, e se si moltiplica questo numero per tutti i paesi del mondo, arriviamo a 1 miliardo di contagiati a livello globale. Per fortuna abbiamo un vaccino che abbassa il denominatore, e quindi l’influenza causa meno morti di quelli che potrebbero succedere. Però di per sé stiamo parlando di una letalità che senza vaccino è superiore a quella del coronavirus».

Ma il medico che è morto a Wuhan era giovane.
«Succede. È un fatto probabilistico che per mille che muoiono, 940 sono vecchi e gli altri hanno un problema per esempio polmonare. Sono tutti aspetti relativi, son tutte persone più fragili». 

Secondo lei c’è il rischio che qualche migrante eventualmente porti il nuovo coronavirus arrivando dall’Africa sui barconi?
«Assolutamente no. Questa è una malattia che è acuta. Non è che il virus si fa 6 mesi nel deserto, poi 5 mesi di Libia e poi va in barcone e arriva in Italia».

Ma se l’Oms si dice preoccupata ci sarà un motivo.
«Certo. Se l’epidemia colpisce Paesi dove i sistemi sanitari non sono in grado di contenere il virus, e di curare le persone, potrebbe essere un problema. Ma per ora in Africa c’è solo un caso importato. E poi in tutto il mondo c’è stato un cordone sanitario mai successo prima. Nel mese di febbraio probabilmente i casi di epidemia scenderanno».

Eventualmente quali provvedimenti si potrebbero prendere? 
«Nel caso in cui si dimostrasse che c’è un’epidemia da coronavirus in Africa, cosa di cui dubito fortemente, andrebbero aiutati dal punto di vista della diagnostica. Bisogna portare lì i sistemi di diagnosi che tra l’altro i cinesi hanno messo a punto». 

Ma il sistema secondo lei è in grado di affrontare l’epidemia?
«Si tenga presente che ai tempi della Sars già allora all’aeroporto misuravano la temperatura. Poi c’è stata la Mers, epidemia da coronavirus portata dai cammelli in Medio Oriente e anche quella si è spenta subito».

© RIPRODUZIONE RISERVATA