Coronavirus, Ricciardi (Oms): «Più letale dell'influenza, ecco come il caldo ci aiuterà»

Coronavirus, Ricciardi (Oms): «Più letale dell'influenza, ecco come il caldo ci aiuterà»
di Mauro Evangelisti
4 Minuti di Lettura
Martedì 25 Febbraio 2020, 07:06 - Ultimo aggiornamento: 13:25

«No, il Covid-19, non è come una normale influenza, ha un tasso di letalità più alto. E soprattutto, se non la fermiamo rapidamente, rischia di richiedere un numero di posti di terapia intensiva superiore a quelli che ci sono nei nostri ospedali. Certo, l'arrivo del caldo potrà aiutarci, ma non possiamo aspettare l'estate».

Walter Ricciardi, membro italiano del comitato esecutivo dell'Organizzazione mondiale di Sanità, ha ricevuto ieri un incarico dal Ministro della Salute: coordinare le relazioni con gli organismi sanitari internazionali. Avverte: per il vaccino serviranno due anni. Negli ultimi giorni si è dibattuto molto sulla reale dimensione del pericolo rappresentato dalla diffusione del coronavirus in Italia. Cosa è giusto dire ai cittadini?
«Nel caso dell'influenza stagionale la stragrande maggioranza dei pazienti guarisce, più o meno spontaneamente, con una terapia sintomatica e la mortalità è dello 0,1 per cento. Chiaramente, poiché in Italia ogni anno ne sono colpiti circa 8 milioni, poi ci troviamo con 8 mila morti. Quella del Covid-19 è una malattia sicuramente molto più grave perché ha una letalità del due, tre per cento. Con otto milioni di contagiati, avremmo molti più decessi».



Cosa dobbiamo fare ora?
«Dobbiamo cercare prima di rallentare, poi di bloccare questa curva epidemica, come, per fortuna, sembra stia avvenendo ora in Cina».

Quando arriverà la stagione estiva, con il caldo, c'è la possibilità che il coronavirus se ne vada?
«Il freddo, è vero, aiuta i virus a trasmissione respiratoria. E dunque c'è da pensare che il fattore caldo possa aiutare, ma non sarà il clima a fermarlo, lo fermerà le misure che metteremo in atto».

Trump aveva detto: vedrete, si risolverà tutto quando a giugno arriverà il caldo. Forse ha un po' semplificato.
«Diciamo che ha ultra-semplificato».

Se non riusciremo a rallentare il coronavirus avremo un'altra richiesta contemporanea di molti posti letto in terapia intensiva, superiore all'offerta del nostro sistema sanitario.
«Guardi, la proporzione è questa: l'80 per cento dei contagiati guarisce, il 15 per cento ha delle problematiche più o meno gravi, il 5 gravissime. Il 2-3 per cento purtroppo morirà. In terapia intensiva arriverà una parte di quel 15 per cento, in rianimazione una parte del 5. Allora, con i numeri attuali in Italia abbiamo un'offerta sufficiente di posti letto per terapia intensiva e rianimazione. Ma se il numero degli infetti dovesse aumentare notevolmente, allora ci sarebbero dei seri problemi. Dovrebbero essere riconfigurati gli ospedali per accogliere tutti i pazienti. E il fatto di riuscirci, dipende dalla capacità di dare una risposta positiva, voglio sperare che le regioni stiano preparando dei piani di contingenza. Per questo serve un'unica catena di comando, da parte che faccia capo al ministro Speranza. Le divisioni sono amiche del virus perché il virus si disinteressa dei confini».

Perché l'Italia è il paese europeo con più contagiati? Cosa abbiamo sbagliato?
«Primo elemento: in qualche modo si sarà perso il paziente che è entrato dalle zone ad alto rischio e ha cominciato in qualche modo a circolare nella comunità. Nelle scorse settimane è avvenuto anche questo, è frutto anche di ciò che dicevamo, non tutte le regioni hanno recepito in modo uniforme e puntuale le indicazioni del ministero. Abbiamo avuto troppe polemiche, divisioni. C'è però anche un altro elemento: forse stiamo effettuando in Italia una sorveglianza attiva, stiamo cercando il virus attivamente, in altri paesi meno».

Sarebbe stato giusto avere il coraggio di mettere in quarantena chiunque rientrava dalla Cina?
«Non bisognava mettere tutti in quarantena, però tracciare tutti sì. Ricoverare chi doveva essere ricoverato, mettere in sorveglianza attiva chi doveva essere messo in sorveglianza attiva».

Perché Lombardia e Veneto stanno pagando il prezzo alto? Eppure hanno un sistema sanitario eccellente.
«Dipende dalla capacità di risposta a delle sfide nuove. Prenda il Giappone: è una potenza industriale e dal punto di vista biomedico, ma è un gigante dai piedi d'argilla e ha gestito malissimo la vicenda della nave da crociera. Tornando a Lombardia e Veneto: non si tratta solo di curare i malati, serve anche la capacità della sanità pubblica di promuovere la salute e prevenire le malattie. Su questo non si è investito abbastanza negli anni passati, tutti i servizi di igiene pubblica ed epidemiologia sono stati depauperati. Sono competenze che abbiamo in Italia, ad esempio all'Istituto superiore di sanità. Ma le regioni vogliono fare da sole. Il controllo di un'epidemia è la cosa più complicata, al pari di un trapianto in medicina. E devi affidarti a professionisti con le giuste competenze».

C'è il rischio che altri paesi europei blocchino i confini con l'Italia?
«Non credo, sarebbe un errore gravissimo, dobbiamo lavorare tutti insieme per affrontare questa emergenza».

Quanto dovremo sopportare le limitazioni previste per gli spostamenti?
«Il tempo che sarà necessario. Durerà settimane. Siamo di fronte a una sfida epocale, è la prima epidemia del mondo contemporaneo».
 

 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA