Coronavirus, riaperture: Regioni sotto esame. Conte: rischi nuovi focolai, serve prudenza

Coronavirus, riaperture: Regioni sotto esame, riparte solo chi è in regola
di Alberto Gentili
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Mercoledì 29 Aprile 2020, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 16:56

 Per frenare il “fai da te” Regione per Regione e soprattutto per permettere a quelle dove il virus ormai morde di meno di allentare il lockdown, il governo rispolvera il piano di allentare le misure restrittive su base territoriale. Previsto anche il percorso inverso: una nuova stretta (sempre regionale) se ci dovesse essere un riacutizzarsi dell’epidemia

A dare l’annuncio è il dem Francesco Boccia: «Dobbiamo avere un po’ di pazienza in più, sapendo che stiamo mettendo in sicurezza il Paese. Poi ci sarà un momento, dopo il 18 maggio, in cui conteranno le differenza territoriali». Che possa essere questa la strada, sponsorizzata dal Pd, per non penalizzare le Regioni del Centro-Sud dove ormai l’epidemia ha un indice R0 basso e tenere sotto esame quelle del Nord, viene confermato al Messaggero dal ministro della Salute Roberto Speranza, l’alfiere della linea della prudenza: «L’ipotesi è ragionevole ed è tra le idee che stiamo analizzando dopo il primo passo delle restrizioni condivise. Ma non dobbiamo mai dimenticare che aver fatto il 10 marzo scelte uniformi per tutto il territorio nazionale ha salvato il Centro-Sud. Ricordo che in quei giorni molti volevano chiudere solo il Nord». Nulla, comunque, è ancora deciso: «Usate il condizionale», avverte Boccia, «tutto dipenderà dall’andamento dei contagi».

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Questo perché, chi sta elaborando il piano per le ripartenze differenziate, dal 4 maggio - data in cui in cui torneranno al lavoro 4,5 milioni di persone e verrà lievemente allentata la stretta sulla popolazione - analizzerà giorno per giorno l’evoluzione dei contagi in ciascuna Regione, per tirare le somme a ridosso del 18 maggio, giorno in cui scadrà il Dpcm varato domenica scorsa.

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«A quel punto, se la situazione lo consentirà», spiega una fonte che segue il dossier, «verrà deciso l’allentamento differenziato delle misure su base regionale, anche per non penalizzare ulteriormente settori, come la ristorazione, i bar, gli estetisti e i parrucchieri, che altrimenti dovrebbero aspettare almeno fino al primo giugno se si seguisse il piano di chiusura nazionale appena varato».

Saranno tre i criteri, suggeriti dalla task force di Vittorio Colao, in forza dei quali il governo assumerà la decisione. Il primo: la situazione epidemiologica. E avranno più possibilità di allentare il lockdown le Regioni con un RO prossimo allo zero, mentre altre in cui dovesse risalire vedranno confermata o aggravata la stretta. Il secondo: l’adeguatezza del sistema sanitario locale (inclusa l’assistenza domiciliare) in cui sarà fondamentale il numero di posti in terapia intensiva, nel caso fosse necessario fronteggiare un riacutizzarsi dell’epidemia. Il terzo: la disponibilità dei dispositivi di protezione personale come mascherine e guanti. Sintesi di Boccia: «Chiederemo alle Regioni un report quotidiano sui contagi, sul livello dell’R0, dei posti letto nelle terapie intensive e subintensive che non vanno ridotti. In base a questi dati si potrà decidere se allentare le misure». 

Il lockdown differenziato porterà inevitabilmente con sé la conferma della chiusura dei confini tra Regioni. E dunque del divieto, almeno fino al successivo step del primo giugno, di raggiungere le seconde case situate in una Regione diversa da quella di residenza. Al ministero di Boccia si studia però anche l’ipotesi di creare macro-Regioni, se gli indici di contagio tra territori limitrofi saranno uguali o simili. Questo per garantire una maggiore mobilità alla popolazione e permettere l’uso delle seconde case: un innegabile sfogo per le famiglie con figli. «Per ora si parla però solo di singole Regioni», frena un’altra fonte, «tanto più che questa ipotesi non ha ancora passato il vaglio del Comitato tecnico scientifico» (Cts).

LA MOSSA DEL PD
Il piano di Boccia, si diceva, è spinto e sostenuto dal Pd che non ha apprezzato la decisione di Conte (suggerita dal Cts) di adottare nell’ultimo Dpcm misure su base nazionale e tantomeno il “fai da te” dei governatori leghisti. Il vicesegretario Andrea Orlando mette a verbale: «E’ ragionevole pensare a forme di accelerazione della ripresa nelle Regioni dove la curva epidemica è più bassa». Una posizione che viene fatta appoggiare dalla comasca Chiara Braga e dal siciliano Carmelo Miceli, a dimostrazione che non è «una guerra Nord-Sud». In più il capogruppo in Senato, Andrea Marcucci, dà voce all’irritazione verso Conte: «Ha sbagliato sul crono programma della fase 2. La riapertura di bar e ristoranti il 1 giugno è troppo lontana, il Dpcm scade il 17 maggio, lasciamoci lo spazio per testare le aperture in alcune Regioni» con R0 basso.

Resta il tema dei governatori, soprattutto leghisti, che hanno emanato ordinanze che violano la linea del governo. E qui arriva l’avvertimento di Boccia: «Chi sbaglia si assumerà la responsabilità dell’aggravamento della condizione sanitaria del proprio territorio. Chi rappresenta le istituzioni, a tutti i livelli, deve agire sempre con grande senso di responsabilità, sarebbe da incoscienti il contrario».
 

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