Coronavirus, la Rai finisce sul banco degli imputati: in ritardo, ha fatto poco servizio pubblico

Coronavirus, la Rai finisce sul banco degli imputati: in ritardo, ha fatto poco servizio pubblico
di Mario Ajello
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Lunedì 9 Marzo 2020, 08:28 - Ultimo aggiornamento: 12:50
ROMA Al Settimo Piano di Viale Mazzini ci si sente più stabili. L'emergenza virus, che rende tutto il resto secondario, ha fatto spegnere i riflettori sull'infinita crisi di governance nella televisione pubblica, sui guai dell'ad Salini e sullo stallo politico delle nomine. E tuttavia, è Mediaset a prendere il ruolo guida nel racconto televisivo del contagio e della lotta al bacillo. Mentre suonano come una critica indiretta alla televisione di Stato, o come sprone a fare molto meglio, le parole del ministro, e capodelegazione Pd nel governo, Franceschini: «Se dobbiamo stare in casa, per fermare il contagio, che passi più cultura in tivù».

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MEGLIO MEDIASET
Il fatto è che, dentro e fuori dal web, nelle case e pure nei Palazzi, ci si continua a chiedere per esempio: mai è mai possibile che la Rai non ha tempestivamente fatto dirette sulla chiusura di Lombardia e 11 province, mandando i soliti film invece che immagini documentate e non terrorizzanti sui milioni di italiani bloccati in mezzo Paese? Ieri - con il cambio di palinsesto: niente Presa Diretta e al suo posto lo speciale Tg3 su «Coronavirus, istruzioni per combatterlo» - si è cercato di rimediare. Non abbastanza evidentemente, se in rete sono comparsi commenti così: Il Paese di ieri e quello di oggi. Nella sua domenica Baudo non avrebbero fatto parlare sfaccendati e cialtroni di #coronavirus. La Mara Venier invece sì. In tutti i talk opinionisti scatenati su temi che non conoscono. Poi, qua e là, un virologo. Forse».

Dalla tivù pubblica si è addirittura arrivati ad apprendere la sensazionale notizia pseudo scientifica, secondo cui il virus è passato dal pipistrello all'uomo tramite la macellazione. Nei talk e nelle varie finestre informative non sempre - il che vale non solo per la Rai - ci sono ospiti professionalmente attrezzati per parlare dell'epidemia. di quella che è una questione di vita o di morte che riguarda il nostro Paese. Molti giornalisti mainstream e vippume vario, mentre la competenza fatica ad andare in scena. Mamma Rai dovrebbe imparare da Klopp. Ovvero l'allenatore del Liverpool che, a domanda suo Coronavirus, ha risposto: «Chiedete agli esperti, date spazio a loro su questi temi, io mi occupo di pallone. Non è che siccome sono famoso ho diritto di parlare di tutto».
 


Ed è vero che aumentano gli ascolti del Tg1 (quello delle 20 sempre sopra il 24 per cento nell'ultima settimana con punte di quasi il 26) e anche delle altre testate: il Tg2 di Sangiuliano cresce e la sera va anche oltre l'8 per cento e il Tg3 guadagna quasi due punti di share. Ma resta il fatto che mentre si creava il panico alla stazione di Milano, per prendere l'ultimo treno della notte verso Sud, l'unica rete a fare servizio pubblico è stata Mediaset con Stasera Italia su Rete4. Su Rai1 si cantava e ballava, su Rai2 andava in onda un telefilm e su Rai3 il programma Sapiens di Mario Tozzi. E ancora: la conferenza stampa di Conte andata in onda alle 2.20 del mattino è stata seguita in diretta dal Tg5.

Servizio pubblico non significa parlare solo di Coronavirus, anche perché questo - e già il governo ha chiesto alla Rai di usare «toni più bassi» - contribuirebbe a produrre ansia. Significa invece farlo ma in maniera scientificamente fondata. L'Italia inchiodata a casa, a giudicare dagli sfoghi sui social, sembra chiedere di più e di meglio a Mamma Rai. Osserva il renziano Michele Anzaldi, segretario in commissione di Vigilanza: «La vera missione della Rai in questa fase dev'essere quella di intrattenere a casa tutti gli italiani, perché non si ammalino. E come si fa? Mandando programmi di qualità sia per gli anziani sia per tutti gli altri. Su RaiGulp si potrebbero fare le lezioni per i bimbi delle elementari che in queste settimane non vanno a scuola. Non mi sembra una cosa complicata. Serve uscire, e al più presto, dall'alternativa vista finora: o sensazionalismo o niente». Mai come adesso, Viale Mazzini avrebbe la possibilità di dimostrare che la Rai è degna del nome che porta e del canone che le viene pagato. Per onorarlo e per avere un ruolo benefico per le sorti della nazione, basta applicare una ricetta di pronto impiego: meno spettacolarizzazione, più servizio pubblico. E in hoc signo (forse) si può recuperare su Mediaset.

 
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