Coronavirus Cremona, il medico Angelo Pan: «Siamo alla saturazione, non possiamo intubare tutti»

Coronavirus Cremona, «siamo alla saturazione, non possiamo intubare tutti»
di Claudia Guasco
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Venerdì 20 Marzo 2020, 01:05 - Ultimo aggiornamento: 15:54

Oggi si svolge la cerimonia del taglio del nastro, con le autorità della regione Lombardia, ma non c'è proprio niente da festeggiare. La provincia di Cremona è falcidiata dal Covid-19, dall'inizio dell'epidemia le vittime sono 199, e senza l'ospedale da campo realizzato nel parcheggio della struttura principale qui non saprebbero più dove mettere i pazienti. In una settimana i medici hanno trasformato un ospedale generalista in un nosocomio specializzato in coronavirus, i turni di lavoro sono saltati e si vive in corsia. Un grande aiuto è arrivato dalla comunità evangelica americana Samaritan's Purse, che il 17 marzo ha spedito con un volo speciale il materiale per costruire quindici tende con sessanta posti letto, di cui otto in terapia intensiva, dove lavoreranno sessanta tra medici e operatori sanitari. «Questo ospedale da campo ci darà sollievo per qualche tempo», si augura Angelo Pan, direttore dell'unità Malattie infettive.

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Dottore, voi siete un epicentro del contagio. Tra martedì e mercoledì sono morte ventotto persone.
«Lo scenario è drammatico, lavoriamo così tanto che non riusciamo nemmeno a tenerci aggiornati sui numeri. Ma la misura della gravità me la dà il via vai di ambulanze, il suono delle sirene è incessante. Abbiamo tra i cinquanta e i sessanta accessi al giorno, l'ospedale è quasi saturo. Abbiamo riconvertito tutto per combattere il coronavirus. È rimasto solo il reparto di oncologia e qualche letto in cardiologia, i pazienti ricoverati con patologie diverse dal Covid-19 sono solo una sessantina».
Una rivoluzione anche per voi.
«Per i medici ci sono guardie aggiuntive, ma l'aspetto di maggiore tensione non è quello dei pesanti carichi di lavoro. Dobbiamo assistere pazienti complicati, con insufficienza respiratoria e nemmeno noi siamo abituati a gestirli. Stiamo imparando per forza, abbiamo dovuto farlo. Lavoriamo in collaborazione con gli pneumologi e i colleghi della terapia intensiva. Nella nostra unità si trovano sette persone in ventilazione non invasiva e otto, dieci malati intubati. In tutto l'ospedale gli intubati sono trentasette e settantacinque i pazienti sottoposti a ventilazione. Abbiamo dovuto reperire i macchinari, non ne avevamo così tanti. Adesso disponiamo di materiale a sufficienza, però la situazione è difficile. Molto difficile».

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Cosa la preoccupa di più, dottore?
«Il problema è che non so se siamo arrivati all'apice del contagio nella provincia. Anzi, dai dati che ho visto non credo proprio lo si sia raggiunto. E la questione critica è che, se anche fossimo al punto massimo della diffusione dell'infezione o in discesa, con sessanta accessi al giorno dobbiamo trovare i letti. Che anche con l'ospedale da campo non bastano. Così ci stiamo organizzando per trasferire pazienti in varie strutture private della città, mentre altri andranno in ospedali fuori Cremona. La rete del sistema regionale funzione, i malati però sono tantissimi».

Un suo collega rianimatore di Bergamo ha raccontato che in queste condizioni siete obbligati anche a scelte dolorose su chi intubare e chi no.
«Le scelte ahimè si fanno sempre nella vita e questo è un problema che si affronta anche nella fase non Convid. Se arriva una persona di novant'anni con una grave insufficienza respiratoria non è detto che intubarla sia la soluzione più adatta, potrei anzi farle del male. Nel momento che stiamo vivendo, purtroppo, la scelta è obbligata da una situazione molto complessa. Siamo alla saturazione».

Quanti anni hanno i malati che arrivano da voi?
«Soprattutto pazienti dai 45 anni in su, i giovani sono una piccola parte e per giovani intendo persone attorno ai cinquant'anni. È capitato qualche ragazzo, sono casi molto rari ma ci sono anche quelli, non è escluso nessuno. Ieri è stato pubblicato lo studio di un gruppo cinese in cui si registra il decesso di un neonato di dieci mesi. Fino a trent'anni di età rischi sono marginali, sotto venti prossimi allo zero, sopra cinquanta invece aumentano progressivamente e oltre gli ottanta molto elevati. Per questo i nonni in particolare devono restare a casa e non andare a fare la spesa. Tutti dobbiamo cancellare temporaneamente la nostra vita sociale: ho un collega di Brescia intubato e altri due in terapia intensiva, tutti tra i 60 e i 65 anni. Non è un'infezione che riguarda solo gli anziani, è che loro hanno una prognosi sfavorevole. La gente deve capire che questo è un evento mai visto precedenza da chi vive oggi, varrebbe la pena rispolverare i ricordi dell'influenza Spagnola dei nonni».

Le persone in terapia intensiva sono sole, e questo è un altro dramma.
«Cerchiamo di telefonare a casa per spiegare la situazione e ciò rende tutto più difficile, la solitudine di questa persone è una profonda angoscia. Il personale si sta spendendo in maniera fantastica, si cerca di sopperire al calore della famiglia. Con tutto quello che abbiamo fa fare è poco, ma è meglio di niente».
 

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