Coronavirus, chiusure ritardate ed egoismi: l’Italia paga il modello lombardo

Coronavirus, chiusure ritardate ed egoismi: l’Italia paga il modello lombardo
di Mario Ajellio
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Domenica 26 Luglio 2020, 01:21

«Ce l’hanno tutti con me e non capisco perché». È dall’inizio dell’emergenza virus, e dagli errori a catena della Regione Lombardia, che il presidente Attilio Fontana ripete questo spartito. Mentre piovevano su di lui e sul sistema che rappresenta - non erano i migliori? Non fungevano da «locomotiva d’Italia»? Ma suvvia quante fake news! - indagini per il Pio Albergo Trivulzio e per il resto degli ospizi diventati luoghi di strage con l’arrivo incontrollato di malati di Covid mischiati agli altri pazienti; polemiche per l’inadeguatezza colpevole di assessori e dirigenti sanitari; accuse per non aver chiuso in tempo il territorio ed avere così infettato il resto d’Italia. Disastro Pirellone. E adesso ci mancava soltanto il «cognato» a rendere ancora più pesante l’insostenibile leggerezza dell’essere che unisce il governatore leghista con la sua regione.

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LA VERITA’ CHE MANCA
La tegola caduta sulla testa di Fontana, per la vicenda del cognato imprenditore, per il caso della moglie, dei camici, delle mascherine, al di là degli sviluppi giudiziari che potrà avere o non avere s’inserisce in una gestione dell’emergenza Coronavirus che certo Nord non ha saputo maneggiare. Facendo pagare ai cittadini del resto d’Italia un’imperizia mista a bassi interessi economico-territoriali su cui un Paese che ha disperato bisogno di riprendersi non può tacere. Perché solo sulla base della verità si può costruire il futuro. 
E non si tratta, ora meno che mai visto che è la magistratura ad occuparsi del caso personale, di accanirsi contro i singoli. Ma di cercare di capire un modello e tutti i danni che quel modello ha arrecato alla Penisola, imprigionandola in una gestione scellerata di una pandemia insidiosissima che tra Milano e Bergamo andava fermata subito e invece non si è deliberatamente voluto guardare, intervenire e decidere per il bene pubblico sia sopra che sotto la linea gotica. 

Durante l’emergenza più dura, la Lombardia ha danneggiato il Pil dell’intero Paese, spingendo per un lockdown totale e intanto dal vertice del Pirellone - secondo l’accusa - si pilotavano appalti per lucrare sulle disgrazie degli italiani. L’egoismo settentrionalista è quello che, per favorire gli interessi degli imprenditori, ha ritardato la chiusura della regione lombarda, non bloccando in tempo la fuoriuscita dell’infezione. Questa impostazione anti-nazionale di cui Fontana è stato interprete e questa manovra di auto-tutela economica a dispetto di tutto, a cominciare dalla salute dei cittadini, sono riassumibili in un’immagine di facile comprensione: è come se le fabbriche di marmellata del Nord temessero che le fabbriche di marmellata del Sud le sostituissero sui banchi dei supermercati e hanno fatto chiudere il Sud. Senza curarsi, anzi a spregio, di una constatazione tutt’ora validissima e inoppugnabile che è questa, firmata Giuseppe Mazzini: «L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». 

Il sistema Fontana non solo prescinde da questo dato storico, che parla di futuro, ma ha agito in tutti i modi per ribaltarlo e proprio mentre il Paese cercava nella propria identità di destino la sua via per superare la bufera, i dolori e le morti in una tempesta non ancora del tutto superata e sempre in agguato. 

Quanto a Fontana e alla pioggia di indagini da questa sui camici a quelle sulle Rsa, sui test Covid al San Matteo e sull’ospedale in fiera di Milano, il presidente ripete che «tutti sanno che non mi metto in tasca un centesimo». Ma a un avvocato civilista di lungo corso come lui, ex presidente dell’Ordine di Varese, non sfuggirà che se i soldi non finiscono nelle proprie tasche, ma in quelle di un congiunto, non è che cambi molto né per la moralità pubblica né per il buon funzionamento della macchina amministrativa in aree che hanno sempre sbandierato a torto una presunta superiorità morale sul resto della nazione e che si autodefiniscono fattore trainante del Paese diventandone invece la zavorra. Come s’è visto in questi mesi tremendi tra la mancata zona rossa nel bergamasco, i casi Alzano e Nembro, le rianimazioni in tilt, le giravolte sui tamponi, l’assenza di indicazioni e di supporto ai medici di base, e i pasticci d’ogni ordine e grado nel governo della crisi. 

LA GRANDE SLAVINA
Il sistema Lombardia ha franato da tutte le parti, insomma. E la slavina appena abbattutasi sul presidente leghista vale come triste corollario di una storia cominciata male e che si trascina di peggio in peggio. Ma ciò che più deve allarmare è che certo Nord continui a chiedere più autogoverno e, in particolare, una riduzione dei trasferimenti territoriali verso la Capitale e verso il resto del Paese. Una dimostrazione insieme di irresponsabilità e di intollerabile arroganza.

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