Coronavirus, nei musei al massimo in due per sala (ma le file si fanno sul marciapiede)

Coronavirus, nei musei al massimo in due per sala (ma le file si fanno sul marciapiede)
di Claudia Guasco
4 Minuti di Lettura
Martedì 3 Marzo 2020, 07:13 - Ultimo aggiornamento: 08:04

Vuota, senza traffico, con poco lavoro e turisti in via di estinzione. Alla seconda settimana di zona gialla, Milano è la copia depressa e smunta di se stessa. Il problema principale è che qui non succede più niente: cancellate o rinviate fiere, eventi, inaugurazioni. Milano ha diciannove ristoranti stellati, il 5% di tutti i servizi di ristorazione d'Italia e un settimo di tutte le enoteche. Ora i locali sono semivuoti, food blogger e influencer disoccupate. E con la nuova regola del metro di distanza per arginare il contagio la vita diventa un po' più complicata, anche se è solo la codificazione di un comportamento che i milanesi adottano da domenica 23 febbraio, quando è scoppiata la bomba.

Coronavirus, il poliziotto positivo a Roma: ricoverato al pronto soccorso era stato dimesso

Coronavirus, rianimazione: subito 350 posti. Si mobilitano esercito e privati
 



GIAPPONESI IN DUOMO
A Milano non ci si stringe la mano, non ci si bacia, le conversazioni avvengono a misura di sicurezza. Il droplet inserito nel decreto del governo era già in vigore, adesso serve solo qualche accorgimento pratico. Nei bar, ad esempio. «Stiamo distanziando i tavolini. Per il resto abbiamo già levato gli sgabelli dal bancone, per rispettare il divieto di assembramento», spiegano all'enoteca Sapori solari. La questione dei tavoli è spinosa: «Per rispettare la norma devo levare metà dei coperti. Vero che ho meno clienti, ma così lavoro in perdita», lamenta un pizzaiolo in zona Porta Venezia. Gli incasso languono. In galleria Vittorio Emanuele, lo scorso 17 gennaio, due locali sono stati affittati a marchi del lusso per 5,05 e 2,45 milioni all'anno. Adesso la galleria è semivuota, il crollo del giro d'affari supera il 60%. Pier Antonio Galli, gestore del ristorante Galleria e consigliere delegato dell'associazione Salotto di Milano, ha riflettuto sulla possibilità di abbassare la saracinesca per qualche giorno. Poi ci ha ripensato, perché questo è lo specchio internazionale della città, se si spengono le luci qui finisce tutto. Così, per dare un segnale di incoraggiamento, la Veneranda fabbrica del Duomo ha riaperto i battenti. Sotto una pioggia sferzante, alle nove del mattino quattro ragazzi giapponesi hanno varcato per primi la soglia, sorpresi della presenza di fotografi e giornalisti. «Il nostro governo raccontano - non ci ha posto limitazioni, abbiamo preso il volo che avevamo prenotato. Tutto molto bello».
All'interno del Duomo i visitatori si preoccupano di mantenere la distanza di sicurezza, ma non c'è problema: sono pochissimi. La pinacoteca di Brera, che tra i suoi capolavori custodisce Il Bacio di Francesco Hayez, si sta attrezzando per riaprire nel rispetto della nuova norma sulla distanza, il museo Poldi Pezzoli lo ha già fatto: «Abbiamo ingressi contingentati, facciamo entrare due persone alla volta in ogni sala. I nostri custodi, oltre a occuparsi della sicurezza delle opere, controllano che i visitatori stiano ad almeno un metro l'uno dall'altro. Intoppi? Ma no, non c'è nessuno. Dalle dieci del mattino alle quattro del pomeriggio abbiamo staccato solo 33 biglietti», spiegano alla segreteria. L'atmosfera, in giro, è da zona rossa. «Ogni giorno che passa gli hotel perdono 1,8 milioni: a fine marzo il conto rischia di superare i 60 milioni di euro», avverte il presidente di Atr Rocco Salamone.
La metropolitana, alle otto, è semivuota: quasi tutti hanno le mascherine, si sta a debita distanza e preferibilmente vicino alle porte. I supermercati, all'ingresso, mettono scatole di guanti usa e getta a disposizione dei clienti per fare la spesa. Operazioni banali come un prelievo al bancomat o l'apertura della porta di un locale pubblico sono subito seguite da vigorose lavate di mani. Al momento di pagare la spesa, si allunga il braccio verso la cassa e si ritrae il corpo. La vicinanza, in epoca di coronavirus, è sgradita e crea disagio. Alla sede centrale dell'Agenzia delle entrate, negli uffici pubblici e in alcune banche viene ammesso negli uffici un numero di utenti pari o inferiore a quello degli addetti allo sportello e le file si fanno all'esterno.

«SIAMO IMPREPARATI»
Il sindaco Giuseppe Sala interviene in consiglio comunale e parla del momento difficile che la città sta vivendo: «L'emergenza ha colto impreparato il nostro mondo che da decenni conduce la sua vita pubblica e privata convinto di essere al riparo da contagi di questa portata». Quando l'allarme sarà cessato, «si dovrà dare attuazione anche a un poderoso piano di comunicazione, indirizzato soprattutto all'estero, per promuovere le nostre qualità». Il virus «è una botta», anticipa il sindaco: «L'azienda Comune si dovrà confrontare con un livello di entrate significativamente più basso». Negli ultimi cinque anni Milano è cresciuta il doppio del resto d'Italia: +9,7% contro il +4,6% del Paese. Il pil pro capite ha superato i 49 mila euro contro una media italiana di 26 mila, il tasso di disoccupazione si ferma al 6,4% contro il 10,8% nazionale. «Ma ora rischiamo 30 mila posti di lavoro», è l'allarme del presidente degli albergatori Maurizio Naro.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA