Coronavirus, il piano (segreto) anti-epidemia. Speranza: era già pronto il 12 febbraio

Coronavirus, il piano (segreto) anti-epidemia. Speranza: era già pronto il 12 febbraio
di Mauro Evangelisti
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Mercoledì 22 Aprile 2020, 08:13 - Ultimo aggiornamento: 08:36

A marzo il documento firmato dal direttore della programmazione del Ministero della Salute, Andrea Urbani, chiede a tutte le regioni di aumentare del 50 per cento i posti di terapia intensiva. Si tratta di un investimento importante, scatta la ricerca dei ventilatori che diventano introvabili sul mercato internazionale, qualcuno addirittura teme che possa essere uno spreco di denaro. In Lombardia il caso del paziente uno di Codogno, contemporaneo in realtà ai due del Veneto, è appena scoppiato (20 febbraio), ma ancora non si sa se sarà un focolaio circoscrivibile o se interesserà le altre regioni. Ma tra gennaio e febbraio, quando si comincia a parlare di epidemia a Wuhan e Sars-CoV-2 non aveva ancora il nome che sarà scelto successivamente dall'Oms, la simulazione di un centro di ricerca per conto dell'Istituto superiore della sanità, fa delle previsioni. E sono molto simili a quelle che saranno udite poi nel Regno Unito, prima che Boris Johnson decidesse tardivamente le misure di contenimento. Ipotizza centinaia di migliaia di vittime in Italia se non si argina l'epidemia, soprattutto se non si organizzano le strutture ospedaliere, perché l'esempio di ciò che sta succedendo a Wuhan e nella provincia di Hubei spaventa.

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Comincia lì la linea del rigore del ministro della Salute, Roberto Speranza, che da subito nel governo è tra coloro che chiedono con più forza il lockdown.
Qualcuno, nelle varie riunioni che si succedono anche con la Protezione civile, paventa: «Non avremo mai i posti di terapia intensiva che saranno necessari, saremo travolti». Ieri dal Ministero della Salute hanno raccontato: la richiesta di un'analisi sull'impatto dell'epidemia è del 22 gennaio, il 12 febbraio è arrivata una prima versione, poi aggiornata il 4 marzo, al Comitato tecnico scientifico. «In quella fase tutti i lavori si sono svolti in forma riservata». Aggiungono: «Ancora il 14 febbraio l'ECDC, l'Agenzia dell'Unione Europea per la prevenzione e il controllo delle malattie dava come bassa la possibilità di diffusione del contagio in Europa. E in quel momento i contagi in Italia erano 3, tutti importati dalla Cina, e i casi in Europa erano 46. Le prime misure sono del 21 febbraio».

VOLI DIRETTI
Torniamo a gennaio-febbraio, le prime decisioni del governo: si bloccano i voli diretti con la Cina e si mettono i termoscanner negli aeroporti per misurare la febbre dei passeggeri. Visto con il senno di poi, sono scelte che non bastano. Dalla Cina si arriva comunque con le triangolazioni e, soprattutto, scopriranno gli esperti più tardi, il virus in Lombardia sta girando massicciamente da metà gennaio (come d'altra parte anche in altre zone d'Europa). Chiaro, dunque? Da una parte ci sono i piani che, come sempre avviene in questi casi (e probabilmente come è stato fatto anche in altri Paesi europei) restano riservati e valutano vari scenari: uno è molto preoccupante. Dall'altra ci sono scelte sul lockdown su cui si prende tempo, anche se poi l'Italia sarà la prima a chiudere tutto (l'11 marzo) perché sarà la prima a essere investita dallo tsunami. Forse solo la Germania riesce a organizzarsi per tempo e oggi, pur con un contagio diffuso, ha un numero di morti molto inferiori. Gli altri paesi - Regno Unito, Francia e Spagna - seguono le orme dell'Italia. Racconta un esperto, che fa parte del comitato tecnico scientifico: «Dico la verità, abbiamo capito che ci sarebbero stati problemi molto seri alla luce di quanto stava avvenendo a Wuhan, quando abbiamo visto la facilità di trasmissione del virus; il fattore decisivo è stato capire che anche chi non aveva sintomi evidenti poteva contagiare altre persone. In un mondo globalizzato come quello di oggi, era quasi inevitabile una diffusione del coronavirus in tutto il Paese e anche in Europa».

LE FALLE
A febbraio, malgrado le previsioni cupe, si fecero errori anche per colpa dell'Oms: si permisero i tamponi solo a chi aveva sintomi evidenti ed era stato in Cina (con il senno di poi uno sbaglio clamoroso, anche alla luce dei tanti casi di polmoniti anomale segnalate a gennaio in Lombardia); si disse che gli asintomatici non erano contagiosi; si sconsigliò e quasi si derise l'uso delle mascherine.

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