Coronavirus fase 2, le Regioni potranno chiudere i loro confini

Coronavirus fase 2, le Regioni potranno chiudere i loro confini
di Mario Ajello
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Sabato 18 Aprile 2020, 07:34

Missione impossibile, forse. Ma il governo tenta di fermare il fai da te delle varie regioni, impazienti di riaprire tutto e di far partire la fase 2 secondo le diverse esigenze territoriali e le singole convenienze politico-elettorali. La cabina di regia convocata per oggi alle 18,30, serve appunto a fermare le fughe in avanti («irresponsabili» secondo il ministro Boccia») e a tentare un approccio comune tra lo Stato centrale e i governatori regionali. Nella cabina di regia ce ne sono tre, Attilio Fontana, Stefano Bonaccini e Nello Musumeci. E oggi con il premier Conte, con la sindaca di Roma Raggi e con il presidente dell'Anci Decaro, cominceranno a progettare il post emergenza. La spaccatura politica è netta: i presidenti regionali del centrosinistra, da Bonaccini a Zingaretti, sono sulla linea che piace a Conte («Sulle riaperture ci atteniamo alle indicazioni del governo e alla valutazioni dei medici»), mentre quelli del centrodestra (da Fontana a Zaia, da Toti a Cirio) vogliono strappare anche se dicono di sentirsi collaborativi: «Noi andiamo avanti, non si può più aspettare fermi nell'emergenza», è la linea di condotta di ognuno di loro.

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Quindi non si annuncia affatto semplice, per Boccia e Speranza, i due ministri presenti, la prima riunione della cabina di regia. Dove verranno vagliati i piani di riapertura delle regioni («Noi in Veneto siamo già oltre il lockdown, è ripartito quasi tutto», assicura Zaia), per poi coordinare la fase 2 e stabilirla nel Dpcm che verrà.

IL SUD SI DIFENDE
Sulla cabina di regia aleggia intanto l'idea, che trova spazio in ambito di governo, secondo cui si riapre ma ogni singola regione può decidere se accettare oppure no il libero ingresso nei propri confini di altri italiani di altre regioni. Gli spostamenti inter-regionali verrebbero autorizzati insomma dal potere territoriale competente. «Se così sarà - si porta avanti il presidente campano De Luca - noi abbiamo già la risposta. Qui non entra proprio nessuno. Il virus degli altri non lo vogliamo. Sono pronto a fare un'ordinanza che vieti gli ingressi da noi».
E il governatore siciliano Musumeci è sulla linea attendista: «Ho incaricato un comitato scientifico di dirci le modalità della riapertura e aspetto le risposte». Sia sugli ingressi sia sulle uscite dalla sua regione. Quanto al Lazio, questa è una regione particolare, perché è sede della Capitale d'Italia. Si potrà interdire l'ingresso a gente proveniente da altre parti e che per ragioni di lavoro, per esigenze di rapporto con le istituzioni nazionali, non possono prescindere dal venire a Roma? Non sarebbe facile. E comunque, il governatore (e segretario del Pd) Zingaretti si atterrà a qualsiasi decisione verrà presa dal governo, tramite la cabina di regia, convinto che finora il muoversi insieme all'esecutivo Conte abbia portato a risultati nella lotta al contagio e non servono smarcamenti, accelerazioni e «furberie». Non sarà il Lazio a dare problemi a Palazzo Chigi. Così come non lo sarà l'Emilia Romagna, dove il presidente Bonaccini afferma: «Sulla ripartenza decida Roma».
La spaccatura è politica. Boccia cerca di frenare le impazienze dei governatori del Nord, e si appella alla scienza come risorsa di prudenza. Trovando conforto anche in Walter Ricciardi, il rappresentante italiano nel board dell'Organizzazione mondiale della sanità e super-consulente del ministro Speranza, che stigmatizza il liberi tutti propugnato dalla Lombardia. Ma Fontana non ci sta, morde il freno: «Non si può morire d'immobilismo». E Zaia, dal Veneto: «Bisogna partire subito con un piano per la messa in sicurezza nelle aziende. E la decisione spetta alla scienza e alla politica perché ci vuole buon senso, equilibrio. Perché ci sono due linee di pensiero. La prima dice di aprire quando il virus non ci sarà più e saremo tutti morti. La seconda è aprire e convivere con i l virus, che è esattamente tutto quello che hanno fatto gli altri Paesi nel mondo. Io tra queste due linee non ho dubbi». E' per la seconda.

SECESSIONISMI
Ed è inutile girarci intorno. La fase 2 nel caso della forzatura lombarda ma anche di quella trentina - dove il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, è un fedelissimo di Salvini come lo è diventato Fontana - va assumendo quasi coloriture secessioniste. Al ministro Boccia, Fugatti ha chiesto, per dare «più aiuto ai nostri cittadini», la sospensione per due anni del contributo della Provincia autonoma di Trento al risanamento del disavanzo statale.
Si tratta di un contributo annuo di circa 480 milioni di euro. Boccia ha detto che darà risposte entro una quindicina di giorni. La disunione sembra insomma galoppare, e la cabina di regia rischia di diventare una camera oscura in cui ognuno fa i suoi giochi.

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