Coronavirus fase 2, strategia anti-contagio: zone rosse mirate nelle città

Coronavirus fase 2, strategia anti-contagio: zone rosse mirate nelle città
di Mauro Evangelisti
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Lunedì 20 Aprile 2020, 11:05

«Abbiamo un'arma in più, rispetto all'inizio dell'epidemia: sappiamo che il coronavirus c'è, sappiamo che ci dobbiamo difendere, sappiamo come dobbiamo comportarci per evitare di essere infettati», ripete Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell'Università di Pisa e consulente per la Regione Puglia. La prossima sfida, perché la fase due non abbia effetti traumatici, deve puntare sulla vigilanza del territorio. Soprattutto in quelle regioni dove la circolazione di Sars-CoV-2 non è stata massiccia, le aziende sanitarie dovranno potenziare sistemi di controllo assiduo e costante, per fermare sul nascere i focolai. Significa zone rosse, significa isolare l'incendio prima che distrugga tutto il bosco. «Chiaro, è più facile farlo se si tratta di una piccola città - osserva Lopalco - però il principio deve essere questo: non farsi prendere di sorpresa, intervenire subito se in una località c'è un numero di contagi anomalo, isolare e chiudere».

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PUNTI DEBOLI
Lo stesso deve avvenire (e in parte sta avvenendo) per case di riposo e rsa; in questi giorni in Italia (ma in realtà in tutto il mondo) sono il vero moltiplicatore del contagio, purtroppo con ampie possibilità che vi sia un alto numero di vittime, perché quando Covid-19 entra in quelle strutture trova i soggetti più fragili. Zone rosse, difesa delle rsa e delle case di riposo però non bastano. L'Istituto superiore di sanità l'altro giorno ha messo in guardia sui contagi che avvengono tra le mura domestiche dove c'è un infetto. Di qui la decisione di ricorrere con sempre più frequenza a una strategia differente: isolare non in casa, ma in hotel riservati per questo tipo di pazienti coloro che non necessitano di ricovero ospedaliero. Questa strategia, sacrosanta, cozza però con un problema ancora irrisolto: i tamponi. Tutto vero, se ne stanno effettuando molti di più, ci avviciniamo a 1,4 milioni e la percentuale dei negativi è vicina al 90 per cento, ma sono numerosissime, in Lombardia come nel Lazio, in Emilia-Romagna come in Piemonte, le storie di coloro che hanno avuto sintomi importanti o sono stati in casa con un paziente positivo, ma il sistema sanitario non li ha mai sottoposti al test sul coronavirus. Nella fase due, se si vuole evitare un secondo tsunami, sarà fondamentale intervenire in maniera chirurgica e certosina, con una speranza: se l'uragano sarà meno violento, ci saranno più risorse e capacità di intervenire. Su questo spiega il professor Gianni Rezza, direttore di Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità: «La coda drammatica di questa prima fase dell'epidemia sono soprattutto le Rsa e le residenze per anziani. Noi stimiamo che per ogni caso segnalato ce ne siano almeno da 5 a 10 che non vengono riportati. Fare una politica di tamponi, mirati anche ai contatti, potrebbe facilitare il rilevamento di persone asintomatiche. Per farlo, c'è bisogno di reagenti, di squadre sul territorio, il sistema va naturalmente rafforzato».
SUL CAMPO
In molte regioni si stanno allestendo le Usca (unità speciali), una sorta di squadre di medici e infermieri pronte a intervenire sul territorio. Proprio ieri il Ministero della Salute ha ufficializzato i numeri delle assunzioni: in totale sono 20.400, tra cui 4.331 medici, 9.600 infermieri, il resto sono tecnici, radiologi, autisti delle ambulanze. Nella fase uno abbiamo pagato drammaticamente l'effetto sorpresa, nella due non ci sono più scuse. «Ricordiamoci - conclude il professor Lopalco - che ora ognuno di noi sa come si deve comportare per prevenire il contagio. Mantenere le distanze, certo, ma anche lavarsi le mani costantemente e comunque non toccarsi il viso dopo avere toccato altre superfici mentre eravamo fuori casa, è fondamentale».
Mauro Evangelisti
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