Coronavirus Brescia, il sindaco: «Più morti di quelli ufficiali: bisognava chiudere subito tutto»

Coronavirus Brescia, il sindaco: «Più morti di quelli ufficiali: bisognava chiudere subito tutto»
di Claudia Guasco
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Martedì 31 Marzo 2020, 07:48 - Ultimo aggiornamento: 11:18

Se gli ultimi numeri dicono che l'ondata di contagio sta perdendo un po' della sua forza, questo non vale per Brescia. Nelle ultime ventiquattr'ore sono morte altre 47 persone, dall'inizio dell'epidemia sono più di 1.200. Emilio Del Bono (Pd), sindaco dal giugno 2013, sta governando la città in uno dei suoi momenti più duri.
«Sono preoccupato per la mia Brescia, molto colpito umanamente. È una enorme valanga di dolore che ci si è rovesciata addosso, il Coronavirus ha cambiato le geografie umane di interi paesi. Sono morti i presidenti di circoli culturali, di club sportivi, i volontari protagonisti della vita civile delle comunità. Erano il collante sociale e hanno pagato il prezzo più alto. Abbiamo intere aree travolte e migliaia di famiglie distrutte, perché i morti sono molti di più di quelli registrati ufficialmente».

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Sindaco, che cosa è successo a Brescia? Cosa non ha funzionato?
«A posteriori abbiamo ricostruito la mappa del contagio. E' evidente che è esploso a Codogno, poi è passato a Cremona, che è diventata ospedale di riferimento per i malati di Covid-19. Brescia confina a su ovest con la provincia di Cremona, è chiaro che se alle prime avvisaglie non si chiudeva tutto con una politica di pluralità delle zone rosse la situazione sarebbe precipitata. Bisognava blindare come a Vo' ed effettuare i tamponi. Non si è fatto e il contagio da Brescia è salito fino all'Adamello. Noi sindaci abbiamo chiuso dal 6 marzo, dopo aver spedito alla Regione e al governo una lettera in cui chiedevamo maggiori restrizioni. Andavano moltiplicate le zone rosse, come hanno fatto in Veneto e Emilia. Ora vediamo di confinare l'epidemia. Servono più tamponi, più medici e dispositivi di protezione».
 


Come mai gli ospedali non sono riusciti a reggere l'onda d'urto?
«La falla non è avvenuta negli ospedali, dove sono stati fatti miracoli per creare posti letto. Piuttosto sono mancati provvedimenti sanitari di limitazione del contagio e monitoraggi più efficaci del territorio. Se questo fosse stato fatto avremmo avuto condizioni meno drammatiche negli ospedali e per la popolazione. I medici di medicina generale ci dicono che i contagiati sono cinque, sei volte in più rispetto ai dati comunicati. Abbiamo migliaia di malati a casa o nelle residenze per anziani che non sono sottoposti a tampone: a Brescia ci sono 8.300 casi conclamati, se li moltiplichiamo per sette abbiamo il numero ragionevole di positivi in tutta la provincia. Quando ci dicono che i morti da Coronavirus sono 1.200, i numeri non tornano».

Eppure la Lombardia ha un sistema sanitario di eccellenza.
«Questa epidemia dovrebbe spingere a qualche correzione di rotta. Mette in luce che la rete regionale di medicina territoriale è fragile e non è stata in grado di affrontare l'ondata di Covid. Tant'è vero che i medici ci dicono che i pazienti arrivano in ospedale in condizioni molto compromesse. Dopo questa bufera bisognerà ripensare il sistema. Non è possibile che chiediamo solidarietà all'Albania e alla Cina e non siamo riusciti a creare un sistema di alleanze tra regioni confinanti per avere medici e rianimatori. Esiste ancora il servizio sanitario nazionale?».

Nel bresciano avete disperato bisogno di operatori sanitari.
«Gli Spedali Civili hanno creato 13 nuovi posti in terapia intensiva, ma restano vuoti perché mancano i medici. La protezione civile ne ha mandati 14 a Milano e non ho capito dove sono finiti. Ora ne arrivano altri 48, chiedo formalmente che li mandino a Brescia e Bergamo. Serve anche una struttura temporanea per uscire dall'emergenza, abbiamo bisogno di atti concreti e azioni puntuali. Per questo ho scritto al governatore della Lombardia Attilio Fontana».

Cosa chiede alla Regione?
«Dobbiamo pensare a protocolli di prevenzione sanitaria da applicare ai lavoratori quando torneranno nelle loro sedi. Ora il problema si pone per i dipendenti delle imprese di servizi essenziali: devono essere sani, monitorati sia quando rientrano al loro posto, sia durante il lavoro. Sottoponiamoli ai tamponi. Le aziende sanitarie devono attivare le procedure, in collaborazione con i medici interni alle aziende. Servono modelli seri di gestione, abbiamo bisogno di arginare il contagio. Il Coronavirus non scompare, il rischio di ritorno è alto e il vaccino è ancora lontano. Adesso è il momento di fare un passo avanti».

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