Vivere senza abbracci e strette di mano: più soli e distanti al tempo del contagio

Coronavirus, vivere senza abbracci e strette di mano: più soli e distanti al tempo del contagio
di Maria Lombardi
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Giovedì 5 Marzo 2020, 11:24 - Ultimo aggiornamento: 12:41

Tutti un po' più soli, distanti e circospetti. Tanti numeri primi. Al tempo del contagio il mondo si allontana e si fa piccolo piccolo, essenziale, fino a diventare una bolla in cui sentirsi sicuri e magari diventasse anche impermeabile questo micro-cosmo, insensibile al virus. Una necessaria e dolorosa separazione dagli altri. Il prossimo non è più vicino, ma altrove.
Prima sono scomparsi i baci, gli abbracci, le strette di mano. Archiviati ormai, appartengono all'epoca pre-coronavirus che è ieri ma sembra chissà quando. Adesso - con le ultime raccomandazioni per contenere l'epidemia - dobbiamo rinunciare anche agli incontri, alle visite, al conforto. Tra noi, almeno un metro di distanza, la misura della nuova socialità, virale più che virtuale: nei rapporti entra una variabile ben precisa, i centimetri. Fatti più in là, e nessuno oserebbe offendersi. Niente congressi, riunioni, meeting. Troppa calca, rinviati a quando non farà più paura trovarsi tra sconosciuti. Soli, anche nella sala d'attesa del pronto soccorso perché non ci potrà essere accanto a noi un amico o un parente a tenerci la mano, a dire vedrai andrà bene. Più soli gli anziani nelle case di cura e nelle residenze, limitate al massimo le visite dei figli e dei nipoti, e pazienza per quella inevitabile sensazione di solitudine. È la nuova dimensione del vivere sotto assedio del virus, e questa volta magari non è una scelta quella di chinare gli occhi sullo smartphone per cercare compagnia.

I PERICOLI
«Misure necessarie ma che rischiano di esacerbare la tendenza all'isolamento e alla pseudo-comunicazione virtuale, di produrre un blocco degli scambi, dei rapporti e della vicinanza», si preoccupa la psicoanalista Caterina Scafariello. «I malati e gli anziani ricoverati si troveranno soli di fronte alla macchina sanitaria. Il desiderio verrà vissuto come esposizione pericolosa agli altri».
Che mondo sarebbe senza baci? Ce l'avessero chiesto fino qualche mese fa avremmo pensato a un deserto di emozioni, un polo nord senza vita. Eccoci, stiamo gravitando in quel mondo lì, ingessato e controllato, dove ogni slancio è una minaccia. È stato un attimo, ma adesso è così che ci sentiamo a nostro agio, in questo mondo asettico e privo di contatti. Gli abbracci? Basta il pensiero, come se l'avessi fatto. Stringere la mano è ormai un gesto di sfida, una dichiarazione di guerra. E dire che fino a che il virus non aveva sconvolto i nostri riti, allungare la mano era un segnale di pace, un modo per dire fidati. Una volta, perché chissà quante goccioline infette nascondono le pieghe della pelle, e chissà cosa hai toccato prima di avvicinarti superando la barriera del metro. Muri invisibili tra noi e gli altri, e se potessimo disinfetteremmo anche questi con l'amuchina. Occhi veloci per calcolare la giusta distanza.

LE PAROLE
Si cambia in fretta, alla velocità del contagio. E dunque, da domani, «Namasté», le mani giunte al cuore piegando appena il capo, il saluto originario dell'India. Riscopriamolo, suggerisce l'attore indiano Anupam Kher, «igienico, amichevole, aiuta ad equilibrare le tue energie». O semplicemente un inchino, rispettoso e a prova virus. Il saluto dei piedi, solo le scarpe si toccano, quasi un balletto che su TikTok va fortissimo. Ci affideremo alla voce, se non vogliamo condannarci alla distanza. «Ci riapproprieremo delle parole per veicolare amore e sicurezza, ci guarderemo e ci parleremo», prevede la psicoterapeuta Maria Beatrice Toro. E in famiglia? «Ci sentiremo liberi di abbassare le difese, respiriamo la stessa aria, tocchiamo gli stessi oggetti e dunque continueremo a scambiarci abbracci e baci». Il conforto sarà di servizio, gli anziani ne hanno più bisogno che mai: la spesa e le medicine a casa per chi non può uscire. Un sorriso sulla porta, dai che passerà. E tornerò a baciarti.
 

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