Cassazione: insultare un collega o un capo in videoconferenza non è reato

«Insultare un collega o un capo in videoconferenza non è reato»: la sentenza della Cassazione
di Michela Allegri
3 Minuti di Lettura
Venerdì 3 Aprile 2020, 12:14 - Ultimo aggiornamento: 13:08

Un insulto in videochat, alla presenza - virtuale - di più persone, non è reato. L’ha stabilito la Cassazione, che nei giorni scorsi ha accolto il ricorso di un uomo di Milano, che era stato condannato in primo grado e in appello per diffamazione per avere offeso una persona in videoconferenza e poi anche su Facebook in una chat di gruppo. Il giudice aveva stabilito che dovesse pagare una multa da 600 euro. Ma ora la Cassazione ha rimescolato le carte in tavola. Secondo gli ermellini, infatti, si tratta di ingiuria: un reato che è stato depenalizzato. Quindi, la sentenza è stata annullata.

LEGGI ANCHE Coronavirus, Google mappa gli spostamenti per aiutare le autorità: nel Lazio oltre la media verso farmacie e alimentari

Gli insulti sono stati rivolti alla vittima attraverso la piattaforma "Google Hangouts”, una delle più utilizzate ai tempi della quarantena forzata a causa del coronavirus. Per la suprema corte, però, non si tratta di un reato. Per un motivo preciso: c’è una netta differenza tra la diffamazione e l’ingiuria, che non sarebbe stata colta dal Tribunale e dai giudici di secondo grado. «E' stato accertato che le espressioni offensive sono state pronunciate dall’imputato mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa e alla presenza di altre persone “invitate” nella chat vocale», si legge nella sentenza.

Il corso preparto con le mamme è in videochat

Coronavirus, videochat e servizio telefonico: un aiuto virtuale per i malati

Laurea ai tempi del coronavirus: la discussione della tesi è on line

A questo punto, la Cassazione sottolinea che «l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore». Tradotto: in caso di diffamazione la parte lesa non ha la possibilità di difendersi direttamente e in tempo reale.

Il fatto che ci fossero testimoni presenti, collegati in videoconferenza, non ha importanza. E non ha importanza nemmeno il fatto che il video della chat fosse stato poi pubblicato su YouTube. Quindi il reato, in questo caso, deve essere riqualificato in ingiuria aggravata dalla presenza di più persone. Reato che è stato depenalizzato. Quindi la sentenza è stata «annullata senza rinvio, perché il fatto, così riqualificato, non è più previsto dalla legge come reato», concludono gli ermellini.

© RIPRODUZIONE RISERVATA