«Carola non è più la capitana». Nuovo interrogatorio con i pm

«Carola non è più la capitana». Nuovo interrogatorio con i pm
di Michela Allegri
4 Minuti di Lettura
Venerdì 19 Luglio 2019, 07:44 - Ultimo aggiornamento: 08:25

Quattro ore di interrogatorio per raccontare la sua versione dei fatti e respingere le contestazioni della Procura di Agrigento: favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e disobbedienza a una nave da guerra. La ex comandante della Sea Watch 3, Carola Rackete - che non guiderà più le navi della Ong - è stata interrogata dal procuratore aggiunto Salvatore Vella e dai pm Alessandra Russo e Cecilia Baravelli. È la prima delle due inchieste aperte a suo carico dai magistrati siciliani dopo l'intervento in soccorso di 53 migranti al largo della Libia, lo scorso 12 giugno. La seconda indagine, invece, è quella per resistenza e violenza a nave da guerra e a pubblico ufficiale, per l'ingresso nel porto di Lampedusa nonostante il posto di blocco di polizia giudiziaria e per lo speronamento di una motovedetta della Finanza. Pantaloni, maglietta nera e lunghi capelli rasta, la Rackete è stata accolta all'uscita del Tribunale con applausi e cori. «Ho avuto l'opportunità di spiegare i dettagli del salvataggio - ha detto - Spero che la Commissione europea faccia il meglio per evitare queste situazioni e che tutti i paesi accettino le persone salvate dalle navi civili. Cosa penso di Salvini? Niente».

Carola Rackete in tribunale ad Agrigento: «Salvini? Non penso niente. L'Ue deve agire»

Roma, minacce al procuratore e al gip di Agrigento, l'Anm condanna: «Gesti vili»
 





Davanti agli inquirenti, assistita dagli avvocati Alessandro Gamberini e Leonardo Marino, la Rackete ha ripercorso le tappe dell'intervento e ha smentito qualsiasi legame con i trafficanti di esseri umani. Ha raccontato di avere proceduto al soccorso dopo la segnalazione ricevuta dall'aereo Colibrì, che quotidianamente sorvola il Mediterraneo alla ricerca di barconi in difficoltà. Il salvataggio è stato effettuato in acque internazionali, a circa 47 miglia dalle coste libiche, in zona Sar di Tripoli. Dalla nave della Ong tedesca parte un comunicato che viene inoltrato ai centri di coordinamento dei soccorsi in mare di Italia, Malta, Olanda e Libia. Poi, la Rackete si dirige verso il barcone. Alle 11,53 la Guardia costiera libica invia alla nave della Ong una mail con cui dichiara di assumere il coordinamento dell'operazione. Ma la Sea Watch 3 procede al salvataggio: «La Libia non è un porto sicuro», spiega la comandante.

LA DIFESA
«Carola non è più membro dell'equipaggio della Sea Watch - ha chiarito l'avvocato Gamberini - Sono state semplici le cose da dire, è un salvataggio in mare fatto con tutti i crismi della regolarità e delle esigenze drammatiche che si erano realizzate. Tutto era documentato nel diario di bordo e abbiamo prodotto tutto. È giusto che ci sia un'indagine, ma montare strane idee sui salvataggi di Sea Watch è fuori dal mondo. Abbiamo ribadito lo stato di necessità, tutti dicono che la Libia non è in grado di offrire porti sicuri, allora questo esigerebbe, se ci fosse coerenza, che i paesi europei si decidessero a presidiare le acque Sar libiche. La Sea Watch è un'organizzazione di volontari e criminalizzarla per una cosa che dovrebbero fare gli stati Ue è incoerente». Poi, la stoccata al vicepremier leghista, che nelle scorse settimane è stato denunciato proprio dalla giovane tedesca: «Che il clima di odio ci sia e venga alimentato da dichiarazioni aggressive, irresponsabili e false, come quelle che il ministro Matteo Salvini ha presentato nei suoi profili social, è pacifico - ha aggiunto il legale - Una chiacchiera da bar è un discorso, ben diverso è se le dichiarazioni arrivano da un uomo che ha responsabilità istituzionali. In questo senso noi crediamo che le parole del ministro abbiano una valenza istigatoria». Intanto, due giorni fa la Procura ha fatto ricorso in Cassazione contro la mancata convalida, da parte del gip Alessandra Vella, dell'arresto della comandante. Per gli inquirenti, che ribadiscono la misura del divieto di dimora in provincia di Agrigento, sulla Sea Watch non c'era uno stato di necessità tale da giustificare lo sfondamento del posto di blocco e lo speronamento della motovedetta. Ora, la decisione spetta ai supremi giudici.

© RIPRODUZIONE RISERVATA