La mafia fece una trattativa per il Caravaggio rubato 50 anni fa: era a casa di Badalamenti

La mafia fece una trattativa per il Caravaggio rubato 50 anni fa: era a casa di Badalamenti
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Martedì 24 Settembre 2019, 19:39

Arriva da lontano l'ultima rivelazione sulla fine della «Natività», il capolavoro di Caravaggio rubato 50 anni fa a Palermo. Era finito nelle mani della mafia, nella persona del boss Gaetano Badalamenti, che cercò di avviare una trattativa per restituire il quadro in cambio di denaro. Chi lo dice? Il parroco del tempo dell'Oratorio di San Lorenzo, monsignor Rocco Benedetto. Il quale è morto nel 2003 ma due anni prima, nel 2001, aveva dato un'intervista al regista Massimo D'Anolfi che progettava di realizzare un documentario sulle opere trafugate.

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Per 18 anni quel filmato è rimasto inedito. «Non interessava nessuno», dice D'Anolfi. In vista dei cinquant'anni dal furto, qualcuno se ne è ricordato. Il filmato è tornato alla luce e un frammento è stato dato al quotidiano britannico The Guardian che lo ha pubblicato sul proprio sito. Monsignor Benedetto, poi diventato parroco della Cappella Palatina, parlava di contatti con emissari mafiosi che con una lettera avevano avvertito il prete di avere il quadro. Come prova mandarono una foto. Per proseguire il contatto chiedevano un segnale: la pubblicazione di un annuncio sul Giornale di Sicilia. Il sovrintendente fece quello che i mafiosi chiedevano e poco dopo arrivò una seconda lettera con una prova ancora più convincente: un frammento del dipinto. Stavolta però, dice ancora monsignor Benedetto, il sovrintendente non ritenne di proseguire i contatti. E gli investigatori si limitarono a raccogliere la testimonianza del parroco. Anzi fu proprio lui a essere sospettato di complicità con i ladri. Finì sotto inchiesta ma alla fine ne uscì indenne. A D'Anolfi ha detto: «Mi hanno persino preso le impronte digitali. In seguito il sovrintendente si scusò. Ammise di aver fatto un errore. Ma, a quel punto, il danno era stato fatto».

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La «trattativa» non fu neanche avviata. Ne rimane ora una traccia nell'intervista al prete che sarà presentata tra gli eventi delle «Vie dei tesori», una manifestazione in programma nel mese di ottobre. Il seguito di quella storia l'hanno raccontato i pentiti. Ne sono stati sentiti diversi anche dalla Commissione antimafia, presidente Rosy Bindi, che ne ha poi fatto nel 2018 una relazione presentata proprio all'Oratorio di San Lorenzo. Francesco Marino Mannoia ha detto con qualche contraddizione che la tela è stata maltrattata da sprovveduti e praticamente distrutta. Gaetano Grado ha invece raccontato una storia che sembra porsi in continuità con la testimonianza del parroco. L'opera era passata dalle mani di Stefano Bontade a quelle di Gaetano Badalamenti.

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Era stato lui a promuovere la «trattativa» mai conclusa e poi a prendere contatti con un trafficante d'arte svizzero venuto a Palermo per concludere l'affare. Era l'unico che ne comprendeva il valore prima artistico e poi economico. «Chiese di fermarsi ad ammirarlo e Badalamenti gli procurò una sedia», ha raccontato Di Grado. «Si mise quasi a piangere». Il quadro dunque si è salvato? Il pentito non lo sa ma ha riferito che il mediatore svizzero si proponeva di tagliarlo in quattro parti e di vendere i frammenti a collezionisti internazionali. A quel tempo era una pratica molto sperimenti dai trafficanti d'arte.

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