L'impegno dei carabinieri al servizio della gente nell'emergenza Covid: «Noi, familiari di tutti»

L'impegno dei carabinieri al servizio della gente nell'emergenza Covid: «Noi, familiari di tutti»
di Raffaella Troili
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Venerdì 5 Giugno 2020, 19:37
Hanno vegliato sui nostri morti quando noi eravamo chiusi in casa, il dolore, quello loro e quello degli altri, l'hanno portato sulle spalle come una croce, scortando bare, restituendo urne cinerarie. Accompagnato nell'ultimo viaggio i morti soli, estrema crudeltà di questo virus - prendendo il posto di familiari e amici e piangendo lacrime di rabbia, impotenza, dolore. «Facciamo bene tante cose, ma alla fine forse quel che ci riesce meglio di altri è accudire la popolazione». I vivi e i morti. «Abbiamo fatto i familiari di tutti, è come se tutti i morti fossero stati i nostri». La sintesi è di Giuseppe Regina, capo Ufficio Comando del Provinciale di Bergamo. Ha tutto scolpito in mente, il primo caso confermato di Covid-19 il 23 febbraio all'ospedale di Alzano Lombardo, la riunione in Prefettura con tutti i sindaci, la sensazione d'inquietudine: «Nessuno si aspettava un'evoluzione veloce e tragica. Ma comunque la percezione che i numeri fossero più importanti, tanto che eravamo orientati a fare una zona rossa». Tanti piccoli comuni vicini, nella Val Seriana. «Poi invece tutta la Lombardia è diventata zona rossa. Tra l'8 e il 10 marzo la situazione si fa seria, anche perché i corrieri nazionali accampano problemi e scuse mentre c'è la necessità di approvvigionare di farmaci salvavita e macchine per la terapia intensiva farmacie e ospedali». A segnalare il problema è l'ospedale Papa Giovanni XXIII. Ecco allora i carabinieri a tendere la mano, per la prima volta.
«Apriteci i magazzini e diteci cosa dobbiamo prendere». Il primo brutto segnale. Nella notte a metà marzo il primo viaggio: «Andiamo a recuperare diversi pacchi per l'ospedale». Così andrà avanti perché la paura di avvicinarsi porta i corrieri a presentare certificati ed evitare viaggi pericolosi, per fortuna ci sono i carabinieri. Anche loro hanno famiglie che li aspettano ma sul territorio sono diventati un punto di riferimento, per la spesa, la bombola dell'ossigeno, il passaggio. Intanto però sale il numero dei morti. Secondo dato negativo. «Ci sono stati giorni in cui abbiamo toccato i 200 decessi certificati Covid. Questo ha provocato l'impossibilità per i forni crematori di Bergamo di far fronte alle richieste. Ci sarebbero stati ritardi di 18/20 giorni e le salme in bare non zincate si sarebbero decomposte e avrebbero creato un ulteriore problema di salute pubblica». Ed eccoli, sempre loro trasportare le salme in capannoni, camere mortuarie e chiese. A cercare forni crematori in giro per l'Italia, una dozzina.

LA TRISTE PROCESSIONE
Con i camion messi a disposizione dall'Esercito, il lavoro più duro. Sei, sette salme sopra ognuno. «Anche ex colleghi, amici, volontari, persone che conoscevamo; siamo arrivati a trasportarne 80, il primo trasferimento il 19 marzo di sera alle 21 (e quella foto ha fatto il giro del mondo). Le altre il giorno dopo. In tutto 960 salme. Le abbiamo salutate e accompagnate, una per una. Ho quasi 30 anni di servizio non mi sarei mai aspettato di vivere questo, cose che vedi in un film». Non si sono risparmiati. Una grande famiglia al servizio del territorio. «Non dimenticherò chi ci ha chiamato perché non potendo né vedere il defunto né celebrare un rito religioso chiedeva solamente di poter sapere il giorno e l'ora in cui sarebbe avvenuto il trasferimento del congiunto, in modo da poter accendere un cero e fare una preghiera in casa». I carabinieri hanno avvisato tutti. «E qualche giorno dopo, i familiari dei morti hanno chiamato per ringraziare, cose che ti restano impresse per sempre». Andata e ritorno, con una premura speciale. «Siamo andati a recuperare le urne cinerarie nei vari forni e le abbiamo riconsegnate alle famiglie. Uno strazio». Ma una volta nella tempesta, le emergenze e le falle si moltiplicano. Così si è posto il problema della carenza di ossigeno, mancava alle persone covid-19 non gravi, a chi era a casa e aveva da sempre problemi respiratori. In provincia di Bergamo i carabinieri sempre loro si sono trovati di fronte a una grave carenza di ossigeno, sette, otto aziende italiane sono state coinvolte una per una, ma non c'erano contenitori sufficienti per garantire la possibilità di usufruirne a tutti (più di mille le necessità solo a marzo per malati covid). «Si è creato il problema di recuperare i contenitori vuoti». Spesso i parenti a tutto pensano tranne che a restituire la bombola quando hanno un loro caro molto grave. «Ci siamo riuniti con le aziende produttrici e si è deciso di effettuare la raccolta porta a porta». Nell'arco di 24 ore hanno recuperato 350 contenitori di ossigeno vuoto. Al Comando arrivavano le aziende, li prendevano, li sanificavano, ricaricavano e rimandavano nel circuito. Un meccanismo virtuoso, quando c'è solo bisogno di dare risposte. «E chiunque aveva bisogno di ossigeno l'ha avuto». C'è stato l'anziano positivo che doveva fare la dialisi e che nessuno aveva il coraggio di accompagnare. Presenti. Dotati di tutte le protezioni i carabinieri non si sono tirati indietro, come per portare la spesa a casa o accompagnare a farla chi abitava in luoghi isolati e non aveva familiari. «Una missione sociale, oltre quella ufficiale tesa a far rispettare i decreti».

«DA NOI LA GENTE VOLEVA RISPOSTE»
«Se avevamo paura? La paura è necessaria per far sì che si faccia ancora più attenzione. Nessuno si è mai tirato indietro, c'era la consapevolezza che se non lo avessimo fatto noi, specie in piccoli paesini, il problema non si sarebbe risolto». Quaranta giorni di panico serrato. «Ma era giusto che facessimo ciò che la gente si aspettava da noi: risposte. Se ti arrivano a chiamare per qualsiasi cosa vuol dire che il problema ha superato la soglia di gravità». Immaginatevi il primo paziente positivo di Codogno, il 21 marzo a sera. Il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Lodi, Michele Capone, ricorda tutto, «abbiamo accompagnato i medici presso le abitazioni di chi era stato in contatto con lui, bisognava fare il tampone e senza di noi non apriva nessuno». I carabinieri si sono organizzati con quel poco che avevano guanti e mascherine «pensando poco, c'era bisogno e siamo andati». Il giorno dopo il numero dei positivi era già passato da uno a 20, poi i numeri sono schizzati. «Interi paesi hanno perso centinaia di persone, amici cari, parenti, ma non subito c'è stata la percezione del pericolo. Poi carabinieri, ragazzi spaventati, sono arrivati da ogni parte d'Italia, una missione sociale, certo non per lo stipendio», dal 23 febbraio Lodi è in lockdown. «Non dimenticheremo i disegni dei bambini portati ai checkpoint, il caffè della pasticceria, piccoli gesti di affetto che ci hanno fatto andare avanti». Anche qui i carabinieri hanno portato nelle case, pc, cibo per gatti, generi di prima necessità, «scene che riportano indietro nel tempo, alla Germania divisa in due. Dovevamo gestire persone che erano nella zona rossa senza che avessero fatto nulla, giornate infinite, senza chiudere occhio, qui si è scritto un pezzo di Storia d'Italia». Come a Brescia dove si cerca di tornare alla normalità ma non c'è persona che non ha subito un lutto. «Abbiamo svolto attività di alta vigilanza, per noi è un espressione molto significativa, un'attività a 360 gradi - spiega il comandante della compagnia di Brescia Ermanno Soriano - non solo di controllo ma una vera azione di presidio sulla comunità, fatta di rassicurazione, vicinanza, soccorso, quel che già facciamo all'ennesima potenza. Considerando che anche noi affrontavamo qualcosa di nuovo e inaspettato. Sono saltati compiti e orari». Lo sa bene il comandante della stazione di Alzano Lombardo, Fabrizio Dadone, è lui che alla fine accompagnerà il vecchietto a fare la dialisi con l'auto del Comune, ora racconta: «Tutto è iniziato il 23, abbiamo avuto morti per un mese e mezzo, c'è chi in sei giorni ha perso madre, padre e fratello, non si trovavano le casse, i deceduti erano nei sacchi neri con le maniglie, c'è stato un corto circuito e in quel momento il nostro è stato per lo più un lavoro di soccorso alla popolazione. Siamo andati a casa dei deceduti a prendere le bombole, le abbiamo disinfettate, portate alle farmacie o a ricaricare. Abbiamo aiutato a caricare le bare, portato la pensione agli anziani, distribuito pacchi viveri, anche notizie di decesso, sembrava di stare in guerra pur non avendola mai vissuta». Operativi, la divisa più rassicurante del momento. Il comandante della compagnia di Imola, Andrea Oxilia, racconta della consegna dei tablet comprati dalla scuola media di Medicina per le famiglie rimaste fuori dalla cinturazione, «la tenenza era diventato un punto informativo, le vie bloccate, serpeggiava la paura di sentirsi diversi». Appestati. Hanno portato generi alimentari lasciati dai familiari al checkpoint invalicabile, accompagnato figli di genitori separati a casa di mamma, rassicurandoli: «Tranquillo, che papà torna presto». Perché, sì, il lavoro si può fare in tanti modi.
 
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