Roberto Manno, figlio del presunto boss della ‘ndrangheta Francesco Manno, è stato processoto in abbreviato con la cencessione delle attenuanti generiche. Oltre alla condanna di Manno, difeso dai legali Ivano Chiesa e Mirko Perlino, lo scorso novembre era stata ridotta da 6 anni e 4 mesi a 4 anni e 8 mesi anche la pena inflitta a Manuel Manno, difeso dagli avvocati Amedeo Rizza e Mirko Perlino. Quest'ultimo imputato ha ottenuto, infatti, l'attenuante del risarcimento perché ha versato «5mila euro» alla vittima di usura e dell'attentato estorsivo, reati aggravati dalla finalità mafiosa.
La Procura generale aveva chiesto, invece, la conferma delle condanne inflitte in primo grado, ma la terza sezione penale della Corte d'Appello milanese (Marcelli-Paparella-D'Addea) ha confermato solo le pene inflitte ad altri quattro imputati. La Corte nelle motivazioni da poco depositate ha spiegato che quell'attentato a Pioltello mise in pericolo non tanto la vittima di usura, che era già fuggita in Ecuador spaventata dal clan, «ma tutti gli inquilini del palazzo». E con quell'azione i Manno, secondo i giudici, hanno voluto «dimostrare l'autorità e il potere» della loro «famiglia» sul territorio e «l'esigenza della stessa di venire rispettata prima ancora» che «ottenere la restituzione della somma prestata al debitore». All’origine delle minacce un debito contratto dal figlio dell’operaio, costretto a chiedere denaro a Manno perché aveva perso dei soldi nella sua attività di impresario di artisti. «A Pioltello la vita è diventata insostenibile: quando ieri sono tornata a casa a prendere le mie cose la gente del condominio voleva picchiarmi e diceva che era colpa mia quello che era successo», ha raccontato l’ecuadoregno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA