Bella Ciao, la canzone partigiana simbolo della Resistenza (ancora più popolare dopo La Casa di Carta)

Diventata un classico, ne esistono versioni diversissime e fortunate. Anche una che si balla in discoteca

Bella ciao, la storia della canzone conosciuta in tutto il mondo: dalla melodia di Odessa alla versione delle mondine
di Stefania Piras
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Lunedì 25 Aprile 2022, 14:27 - Ultimo aggiornamento: 21:30

Esiste addirittura una versione disco di " Bella ciao ". L'inno del 25 aprile italiano è in realtà una canzone dalle radici profondissime che ha un doppio significato (era anche un canto di lavoro) e una melodia che rimane in testa. Un motivo che è diventato simbolo di Resistenza e protesta in tutto il mondo (pensate all'utilizzo che ne fanno i banditi etici della Casa di carta o la versione anti Trump di Tom Waits) e che come tutti i refrain popolari si replicano all'infinito e diventano standard riconoscibili. 

«Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l'invasore. Sappiamo tutti da dove sono tratte queste parole. Sono le prime di Bella ciao». Così il Capo dello Stato, Sergio Mattarella , celebrando il 25 aprile ad Acerra ha citato Bella ciao dicendo che non si può non conoscerla.

«Ha una bella melodia», spiega Giovanna Marini , cantautrice ed etnomusicologa, quando deve spiegare perché è diventata così popolare. Ha un motivo che si ricorda facilmente e rimane impresso. O meglio, è rimasto impresso: si è tramandato. Ecco perché è arrivato fino a noi e avvolge il nostro ascolto con una famigliarità che possono avere solo gli inni o i valzer popolari. "Bella ciao" è diventato praticamente uno standard internazionale. Per noi italiani ha un valore storico molto preciso: rimanda alla Resistenza, ai partigiani, alla guerra contro il nazifascismo. Ed è proprio questo che intende Mattarella quando dice che «sappiamo tutti da dove sono tratte queste parole». Sta dicendo che è una canzone che è patrimonio comune. 

Ma da dove viene "Bella ciao"? La storia filologica di questa canzone, del suo intreccio strumentale, spazia e travalica anche i confini italiani. E qui appare il primo paradosso: la melodia è precedente alla Resistenza, tuttavia è una canzone che non compare quasi mai nelle testimonianze dei partigiani. "Bella ciao" è incisa nella memoria prima e dopo la Resistenza italiana. Che vuol dire? Significa che è diventata la canzone simbolo per eccellenza dei partigiani italiani e poi anche uno standard, appunto, uno stilema musicale facilmente riconoscibile. A più latitudini.

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Provate ad ascoltare l'incipit di "Koilen", un'incisione del 1919 di Mishka Ziganoff, ebreo ed ucraino di Odessa (e questo basterebbe a far cadere già certi steccati linguistici prima che politici). C'è dentro il folk slavo e yiddish. 

«Ha una formazione un po' slava Bella Ciao», ha detto Giovanna Marini in un'intervista anni fa individuando e confermando la contiguità con la melodia di "Koilen" . Da noi "Bella ciao" per fare il salto di qualità e diventare il ritornello del 25 aprile ha bisogno di aspettare gli anni Sessanta e due elementi: Spoleto e Giovanna Daffini. A Giovanna Daffini, mondina e cantante, va il merito di aver fatto conoscere "Bella ciao delle mondine", un canto popolare che parla del lavoro e della vita nelle risaie piemontesi dalle parti di Vercelli e Novara. Daffini dice di averla appresa lì. Le parole sono cantate sull'aria della "Bella ciao" che conosciamo oggi ma non c'è alcun riferimento a invasori o partigiani nel testo. C'è solo quel motivo profondo, che rimane impresso. 

Nel 1964 al Festival dei Due Mondi di Spoleto "Bella ciao" è il titolo di un intero e fortunato spettacolo organizzato dal Nuovo Canzoniere Italiano che era un gruppo musicale e una rivista di Milano. La scaletta dello spettacolo era formata interamente da canzoni popolari italiane tra cui anche la "Bella ciao" che conosciamo tutti, quella che ha un valore politico, con un testo che fa direttamente riferimento ai partigiani. Marini racconta poi di aver ricevuto una telefonata dall'autore di quel testo: un altro gualtierese e mondino come Daffini, è Alfio Scansani.

Il resto è la storia dell'enorme successo internazionale che va dalla colonna sonora della serie tv spagnola "La casa di carta" su Netflix dove è il simbolo della ribellione contro il sistema, fino alla versione di Goran Bregovic

Lo sceneggiatore de "La casa di carta" Javier Gomez Santander dice di averla scoperta all'università: era il cavallo di battaglia di uno studente Erasmus italiano che la suonava a tutte le feste. Ma esistono versioni di Milva, di Giorgio Gaber, dei Modena City Ramblers, dei Chumbawamba. E poi l'ha rifatta anche Tom Waits con Marc Ribot e Marlene Kuntz con Skin. C'è naturalmente anche quella di Giovanna Marini (nell'album con Francesco De Gregori ). 

E infine c'è pure una versione disco, ballabile, realizzata nel 2018 da Steve Aoki. Ma non c'è da stupirsi che un motivo musicale approdi in una pista da ballo. La forza di uno standard, di frasi o refrain particolarmente potenti dal punto di vista musicale quindi anche e soprattutto melodico, è anche questa. Successe qualcosa di simile anche a "Gam Gam" , una canzone che andò fortissimo in discoteca nel 1994 grazie a un'intuizione di Max Monti e del deejay e produttore discografico Mauro Pilato. "Gam Gam" è una canzone che riprende il quarto versetto del testo ebraico del Salmo 23. È diventata l'inno della memoria per ricordare la Shoah. E trent'anni fa si ballava in discoteca, sulle note e la voce del protagonista del film "Jona che visse nella balena".  

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