Attilio Fontana, la figuraccia lombarda e le dimissioni da dare subito

Attilio Fontana
di Mario Ajello
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Martedì 28 Luglio 2020, 06:12

Dimissioni, sì. Ed ecco perché Attilio Fontana si deve dimettere. Perché l'Italia da marzo ad oggi ha dato il meglio di sé. Ma non tutta. E il presidente lombardo, al di là delle bugie sulla vicenda dei camici, del cognato, della moglie, della mamma (l'ex dentista che gli ha lasciato i 4,4 milioni di euro in volo dalle Bahamas ai conti svizzeri), del bonifico e degli altri fatti di pertinenza dei giudici, non è stato all'altezza del suo compito durante l'emergenza Covid. Proteggere i cittadini, evitare l'espansione del virus, operare con velocità e determinazione insieme al governo centrale senza velleità autonomistiche basate su una malriposta pretesa di efficienza nordista. Tutto questo non c'è stato.

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Non c'entrano giustizialismi né garantismi, e neppure questioni politiche o di partito (Fontana è della Lega ma se avesse un'altra casacca sarebbe lo stesso). C'entra invece che il titolare del Pirellone, il quale aveva fama non verificata di saggio amministratore, accreditato anche a sinistra, è riuscito tra imperizia, scivoloni e forse opacità gestionali, ha svelare se stesso come la faccia settentrionalista dell'Italia che non funziona. E in una fase di ricostruzione molto complicata, di discontinuità necessaria per sopravvivere e ricominciare, occorrono mai come adesso figure istituzionali capaci e credibili. Non può dirsi che in queste categorie rientri Fontana. Quello del balletto su riapertura sì riapertura no il 4 maggio: un giorno era chiusurista, il giorno dopo aperturista, tra vaghezze e politicanti polemicucce.
 



SCENA MADRE
E' stato quello che, mentre diceva «abbiamo fatto errori ma la situazione era complicata», contemporaneamente sosteneva: «Non abbiamo fatto alcun errore e promuovo il mio operato a pieni voti». La mamma dentista gli avrebbe chiuso la bocca. E magari gli avrebbe anche insegnato ad indossare la mascherina. Indimenticabile il tragicomico video cult che ha girato, mentre gli italiani erano annichiliti dalla paura del virus, dopo aver annunciato a febbraio la positività di una sua collaboratrice al Pirellone. L'Attilio si mette in quarantena e in diretta Facebook prova a infilarsi la mascherina ironizzando: «Ho letto che l'uso della mascherina è il problema più grave di quelli del nostro Paese». Il pezzo di stoffa sanitaria gli si impiglia in un orecchio, gli si mette di sbieco facendolo sembrare un pirata con un occhio bendato, gli finisce sul gargarozzo, la risolleva e alla fine ce la fa. Ma che fatica! Ed è stata tutta così, o peggio di così, l'epopea questa Fontaneide.

Dove si racconta che in Lombardia, epicentro della pandemia, non c'è stata sorveglianza epidemiologica a dispetto della sbandierata eccellenza sanitaria regionale; i pazienti asintomatici sono stati lasciati girare; il contagio si è diffuso anche a causa del ritardo della chiusura di Alzano, Nembro e del bergamasco («Dovevo decidere io di chiudere? No, doveva farlo il governo di Roma», disse il Fontana 1 per poi farsi correggere dal Fontana 2 in versione surreale: «Vabbé, ammesso che ci sia stata una colpa, la colpa non è né mia né di Conte»); le fabbriche sono state lasciate aperte per non rovinare gli affari degli imprenditori lombardi e l'egoismo della cosiddetta «locomotiva d'Italia» sprezzante del fatto che i suoi errori li pagassero tutti gli italiani anche di altre latitudini.

LITI E LAGNE
Il vertice regionale lombardo è quello che al Pio Albergo Triviulzio e nelle altre Rsa fa ammassare malati di Covid con anziani degenti, invece di prevedere percorsi paralleli tra le due categorie di persone. Ad ogni errore di Fontana è corrisposta la difesa politica di Salvini, il quale consapevole dell'imperizia del collega per alcuni giorni si è addirittura piazzato a lavorare al Pirellone, commissariando l'Attilio ed elogiandolo come continua a fare in queste ore: «E' bravissimo». Ma al resto del mondo Fontana continua ad apparire il prototipo del politico irresponsabile, il simbolo di una grandeur milanocentrica che s'è sbriciolata al primo impatto vero con la realtà. Servono amministratori pubblici di questo tipo, ora che un surplus di professionalità, di attitudine pratica e di chiarezza di vedute è imperiosamente richiesto dal Recovery Plan?

No, non serve un Fontana, quello che mentre impazzava l'epidemia presenziava in tivvu farfugliando, sbagliando e divagando. O litigava con Roma rivendicando un'improbabilissima superiorità. Ogni volta, come si dice a Milano, a fare «il piangina», a lamentarsi, a recriminare contro lo Stato centrale anche dai microfoni di Radio Padania: «E' una vergogna, Roma ci dà solo le briciole. E siamo costretti a combattere da soli». Una battaglia condotta più che altro così: dando ai cittadini - «Serve più distanziamento» - la colpa per i contagi che non scendevano. Adesso, per tutti questi motivi, a scendere dal Pirellone dev'essere lui: l'Attilio Disastro.
 

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