Un uomo è rimasto confinato in casa per quasi due anni, perché convinto di trovarsi ancora agli arresti domiciliari, nonostante due sentenze di tribunale (primo e secondo grado di giudizio) lo avessero prosciolto da ogni accusa. Questa è la surreale vicenda vissuta da un uomo di 49 anni residente a Giardinello, nel palermitano, finito sotto processo con l'accusa di stalking.
Assolto da stalking ma non lo sa perché il suo avvocato è morto
Ma com'è stato possibile tutto ciò? A causa di una serie di disguidi burocratici: il legale del 49enne era morto, mentre il processo era ancora in corso, ma nessuno lo aveva avvisato. Nemmeno dopo il secondo verdetto dei giudici, arrivato nell'ottobre 2021, che lo assolveva dall'accusa per stalking perché "incapace di intendere e di volere".
Con questo secondo verdetto, il tribunale aveva anche stabilito che il 49enne dovesse essere trasferito in una struttura sanitaria specializzata per casi come il suo. Eppure, dal giorno della sentenza fino a pochi giorni fa, nessuno era mai venuto a cercarlo nella casa di campagna in cui viveva. Solo e in condizioni di disagio. Alla fine, lo hanno scoperto i carabinieri, quasi per caso. Una volta compresa la sua situazione, lo hanno rimesso in libertà, chiedendo per lui un nuovo legale d'ufficio.
La nuova difesa valuta la richiesta di risarcimento
La difesa dell'uomo ora è affidata a ben tre avvocati: Rocco Chinnici, Luigi Varotta e Francesco Foraci. I nuovi difensori stanno valutando un esposto contro il Ministero della Giustizia per chiedere un risarcimento danni per il proprio assistito. «Ci siamo attivati per aiutare questa persona, dopo aver cercato di comprendere per quale motivo si trovasse ancora sottoposto alla misura dei domiciliari - spiegano i nuovi rappresentanti - Si tratta di una vicenda umana che evidenzia quanto sia importante il ruolo del difensore nel processo. Abbiamo ricostruito l’iter della posizione giuridica del soggetto con la collaborazione delle cancellerie e il pm ha immediatamente disposto la scarcerazione, perché non vi era più alcun titolo che potesse giustificare il regime coercitivo al quale era sottoposto».
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