Ex Ilva, Conte si schiera con M5S. Il Pd: così l'azienda muore

Ex Ilva, Conte si schiera con M5S. Il Pd: così l'azienda muore
di Alberto Gentili
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Giovedì 7 Novembre 2019, 07:26 - Ultimo aggiornamento: 15:16

Da mezzogiorno alle dieci di sera palazzo Chigi è rimasto blindato. Impenetrabile. Sospeso. Senza un solo comunicato, senza alcuna notizia ufficiale o ufficiosa. E poi, a notte, senza uno straccio di accordo. Eppure, nelle stanze del governo, si è giocata una partita determinante per la più importante acciaieria d'Europa. E per ben 20 mila lavoratori, indotto incluso.
A palazzo Chigi prima è stato celebrato un incontro di tre ore con i vertici di ArcelorMittal, poi si è tenuto un summit tra Giuseppe Conte, i ministri Roberto Gualtieri, Beppe Provenzano, Stefano Patuanelli, Roberto Speranza, Teresa Bellanova, Nunzia Catalfo per fare (tempestosamente) il punto. E, prima del Consiglio dei ministri, è stato convocato dai dem un gabinetto di guerra da cui è saltato fuori un ultimatum: «Senza scudo penale per le aziende che investono in Italia in realtà pericolose si rischia la crisi di governo».
Già. Sul destino dell'acciaieria di Taranto il governo rosso-giallo ha ballato. E ballerà. Tanto. Così tanto da imporre un rinvio di ogni decisione, vista l'incapacità di raggiungere una posizione comune. E ha ballato così rumorosamente da mettere in allarme Sergio Mattarella - già «molto preoccupato» per le sorti dell'ex Ilva - sulle sorti della legislatura.

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A palazzo Chigi è stata infatti storia di eserciti in armi. Da una parte il Pd, stufo della rigidità dei 5Stelle rispetto alla trattativa e a un decreto per introdurre lo scudo penale e una moratoria dell'azione dei pm, sollecitato durante l'incontro da Lakshimi Mittal, il figlio Adyta e Lucia Morselli: «Senza protezione non è possibile gestire lo stabilimento. A dicembre, come sapete, l'autorità giudiziaria di Taranto farà chiudere l'altoforno 2 e a cascata dovremo chiudere anche l'1 e il 4», ha spiegato l'ad di ArcelorMittal. Dall'altra parte Patuanelli che, spinto nell'angolo da Luigi Di Maio e dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, è stato costretto ad alzare un muro contro lo scudo che fino al giorno prima non aveva escluso.

IL LUNGO BRACCIO DI FERRO
A mandare su tutte le furie la delegazione del Pd e la Bellanova (Italia Viva) è stata la decisione di Conte di schierarsi con i grillini. La ragione: per il premier ArcelorMittal «non può fare ricatti», deve «rispettare il contratto» e non ha «ragioni per sollecitare una tutela penale». Tanto più perché questa metterebbe a rischio il governo: in Senato i ribelli pentastellati non farebbero passare la norma blocca-procure e sarebbe indispensabile il soccorso di Matteo Salvini & C. «E se dovesse cambiare la maggioranza su una norma così delicata salterebbe tutto», ha avvertito Di Maio. Che ha poi ammesso candidamente: «Non controllo i gruppi parlamentari».
In questo clima, tra ultimatum contro ultimatum e minacce di crisi, quasi è finita sullo sfondo la «terribile, infondata e insensata pretesa» (parole di Conte) di ArcelorMittal di abbandonare Taranto. Oppure, di ottenere 5 mila esuberi. Oltre, naturalmente, lo scudo penale e la ridiscussione del piano industriale. Su questo il premier - che ha chiesto per prendere tempo ai franco-indiani di rallentare la procedura di spegnimento degli altiforni - ha scelto la linea dura. Che non è la stessa di Gualtieri e Dario Franceschini.
I due rappresentanti dem hanno fatto un discorso che è suonato più o meno così: Si deve assolutamente impedire la chiusura dell'acciaieria, sarebbe per il Paese un danno economico e di immagine incalcolabile. Dunque bisogna fare tutto il possibile per mettere in condizione ArcellorMittal di realizzare il piano ambientale e, semmai, di ridimensionare il piano industriale visto che così non ce la fa ad andare avanti. Serve un approccio pragmatico, impuntarsi è inutile e dannoso.
Più o meno le parole della Bellanova, per una volta in asse con il suo ex partito: «Qui è in gioco il destino di Taranto, della Puglia e del Paese intero. Occorre costruire le condizioni affinché all'azienda vengano impediti alibi e furbizie. Insomma, è indispensabile varare lo scudo e creare le condizioni per spingere ArcelorMittal a realizzare sia il piano ambientale, che quello industriale attuando l'accordo del 2018».

IL VIETNAM
Il fuoco di artiglieria è continuato in serata in Consiglio dei ministri per altre 3 ore e mezza. Qui, davanti al muro alzato da Conte e dai 5Stelle, il Pd e Italia Viva hanno abbozzato dopo l'ennesima lite e ingoiato il rinvio in cambio di una vaga «disponibilità» a garantire la tutela penale. Il segno che per Franceschini il tempo delle elezioni anticipate va tenuto ancora lontano. Tant'è, che per evitare di apparire divisi, alla fine è stato deciso di puntare sul no ai 5 mila esuberi chiesti da Arcelor-Mittal: «E' inaccettabile, difendere operai e famiglie», ha detto alla fine Conte.
«Rischiamo un autogol ciclopico», ha sospirato a notte un ministro del Pd dopo ben 10 ore di Vietnam rosso-giallo, per nulla diverso da quello che mettevano in scena Di Maio e Salvini. E si sa com'è finita.
 

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