App Immuni, che fine ha fatto? Scomparsa dalla Fase 2, «operativa non prima di giugno»

App Immuni, che fine ha fatto? Scomparsa dalla Fase 2, «operativa non prima di giugno»
di Mauro Evangelisti
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Mercoledì 13 Maggio 2020, 08:22 - Ultimo aggiornamento: 09:03

Se mai funzionerà, dovremo aspettare l'inizio dell'estate o, quanto meno, la metà di giugno. L'app da installare sullo smartphone che ci avverte se abbiamo incontrato una persona che è risultata positiva, era stata indicata come decisiva per la fase 2. Ogni volta veniva citato l'esempio della Corea del Sud, tra le più efficaci nel limitare l'epidemia grazie al ricorso alla tecnologia. Era stato scelto un progetto, Immuni, presentato da Bending Spoons, ma dal 17 aprile si sta passando da un rinvio all'altro. Siamo in un vicolo cieco: sarà su base volontaria perché bisogna rispettare la privacy, ma in questo modo in pochi la scaricheranno e dunque sarà sostanzialmente inutile.

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L'obiettivo minimo del 60 per cento dei cittadini che usano la app appare irraggiungibile. E anche l'ipotesi di averla pronta a fine maggio appare sfumata. Più probabile una diversa tempistica: presentazione a fine maggio, distribuzione sui due differenti store (iOs e Android) alla metà del mese. E al ministero dell'Innovazione già mettono le mani avanti, ipotizzando una non massiccia diffusione. Nelle Faq (domande e risposte) pubblicate sul sito del Ministero si legge: «Anche se Immuni si rivelasse uno strumento insufficiente a contenere l'epidemia in maniera definitiva, potrà comunque contribuire a rallentarla, specialmente in combinazione alle altre misure implementate dal governo».

I LIMITI
Osserva un documento della Commissione di Bioetica dell'Accademia dei Lincei: l'app per il tracciamento è essenziale per riaprire, ma oltre a essere accompagnata necessariamente da test e tamponi dovrà essere facile da usare per evitare discriminazioni in un Paese, come l'Italia, in cui solo il 44% della popolazione tra i 16 ed i 74 anni possiede competenze digitali di base, «il digital divide non deve diventare un divide biologico».
 



Altro problema: se fai partire la app, ma non ci sono operatori umani che poi dialoghino con il cittadino, gli consentano di effettuare il tampone in tempi rapidi una volta accertato che ha avuto un contatto con una persona risultata positiva, è tutto inutile. Walter Ricciardi, consigliere del ministro Speranza e rappresentante italiano nel board dell'Oms, parlando dei rischi di una seconda ondata del contagio, dice: «Siamo in ritardo sul fronte della diagnostica per la carenza dei reagenti necessari per i tamponi; ma siamo anche in ritardo sul tracciamento tecnologico con la app. Da entrambi gli schieramenti politici si dà un'interpretazione della privacy così esasperata, che si rischia di non concludere niente».

Anche altri paesi Ue e il Regno Unito stanno affrontando gli stessi problemi, l'Italia sperava di vedere come andava l'app in nazioni vicine, ma nessuno sta partendo. Non solo: in Corea del Sud, dove le leggi sulla privacy sono estremamente meno rigorose, e dove la app ha dato ottimi risultati, il caso recente del focolaio nei locali notturni gay di Itaewon, a Seul, sta mostrando i limiti, che comunque esistono, del sistema di tracciamento. Molti di coloro che erano nelle discoteche dove si è diffuso Sars-CoV-2 non si stanno presentando per i tamponi, proprio per non uscire allo scoperto, tanto che il primo ministro coreano ha garantito a tutti l'anonimato. Non sarà facile trovare l'equilibrio tra esigenze di sanità pubblica in una pandemia e rispetto delle scelte dei cittadini che, paradossalmente, cedono i propri dati a Google, Facebook, Apple o Amazon, ma non si fidano delle autorità pubbliche del propri paesi.

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