Maltempo e alluvione, ma per la siccità occasione mancata: «Preso solo l'11% dell'acqua». Le falle nel sistema di raccolta

Nel nostro Paese ogni anno cadono in media 300 miliardi di metri cubi di pioggia e solo 58 miliardi sono effettivamente utilizzabili

Maltempo e alluvione, ma per la siccità occasione mancata: «Preso solo l'11% dell'acqua»
di Claudia Guasco
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Sabato 20 Maggio 2023, 22:02 - Ultimo aggiornamento: 21 Maggio, 14:03

A Rotterdam, in Olanda, il consiglio comunale era preoccupato per la gestione delle piogge abbondanti. Così piazza Benthemplein è diventata Water Square: un sistema di tre invasi che, asciutti, fungono da campi da basket e anfiteatri, con il maltempo raccolgono l’acqua dalle strade e dai tetti circostanti convogliandola nei canali di irrigazione delle campagne. Il progetto è del 2013 e dimostra come stoccaggio e riciclo siano praticabili anche dove parrebbe impossibile. «Eppure in Italia viene raccolto solo l’11% dell’acqua piovana, servono interventi strutturali per arrivare al 30%», afferma Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi, l’associazione dei consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue.

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SOLUZIONI ANTISPRECO

Nel nostro Paese ogni anno cadono in media 300 miliardi di metri cubi di pioggia e solo 58 miliardi sono effettivamente utilizzabili, il resto finisce nelle fognature o si disperde nel terreno. «Una dissipazione di risorsa enorme se pensiamo che 13 miliardi di metri cubi di acqua corrispondono a circa il 40% dei prelievi medi annui dalle reti idriche, pari a circa 33 miliardi di metri cubi - calcola l’osservatorio CittàClima di Legambiente - Un volume che è il doppio di quello contenuto nei 374 grandi invasi in esercizio, che ammonta a 6,9 miliardi di metri cubi». Una soluzione antispreco c’è, sostiene Gargano, e comporta «una serie di misure di adattamento dei territori alle conseguenze dei cambiamenti climatici». Servono innanzitutto le infrastrutture, «con Coldiretti abbiamo lanciato il piano Laghetti per realizzare piccoli invasi, senza cemento, che raccolgono l’acqua dai torrenti. Sono posizionati a diverse altitudini e il salto da un bacino all’altro permette di produrre energia idroelettrica. Sono una scorta preziosa per gli agricoltori nei periodi di siccità e alleggeriscono gli alvei quando la pioggia cade in abbondanza, come in queste ore».

Altro intervento urgente, aggiunge: «Attivare in tutta Italia un piano nazionale straordinario di manutenzione del reticolo idrico e idraulico». Solo per gli usi civili i prelievi ammontano a 9 miliardi di metri cubi all’anno (il 27% del totale), il 60% è effettivamente utilizzato mentre il resto viene disperso. Ogni italiano, infatti, usa in media 250 litri d’acqua potabile al giorno, fornita da una rete che si estende per 500.000 chilometri compresi gli allacciamenti. Ma c’è un grosso problema. Un quarto di questa rete è stata costruita più di mezzo secolo fa e il 60% ha più di trent’anni, quindi le perdite sono elevate.

 

IN RITARDO

I fondi del Pnrr dovrebbero mettere una toppa. Il rapporto redatto dall’apposita unità del ministero delle Infrastrutture dedicato all’efficientamento del sistema prevede investimenti per 3,9 miliardi di euro, 2,9 miliardi dei quali finanziati dalla Ue, e ha identificato 124 progetti selezionati per infrastrutture idriche primarie, 368 mila ettari di superfici irrigue interessate (pari al 15% del totale nazionale) e indicato 900 milioni di euro di spesa per la riduzione delle perdite nella rete di distribuzione. Se non che ad aprile la Corte dei conti, che ha analizzato non solo l’investimento nel suo complesso, ma anche un campione dei vari progetti presentati, ha rilevato già nella fase di pianificazione criticità che «riguardano il rapporto tra l’individuazione dei sistemi idrici complessi e le singole opere da realizzare». In sostanza, secondo la Corte, interventi sganciati l’uno dall’altro non bastano. «La continuità, a livello nazionale, dell’approvvigionamento idrico e l’effettiva attenuazione delle dispersioni – osservano i giudici contabili – non sono garantiti dai singoli interventi manutentivi o di ripristino, necessariamente limitati a specifiche aree, ma da un sistema complessivo di opere individuato preventivamente, che consenta la corretta misurabilità dell’obiettivo e delle singole fasi attuative». È necessaria insomma una visione ampia e per di più il piano andrebbe parecchio a rilento. «Il notevole ritardo, rispetto al cronoprogramma degli interventi, con cui il ministero delle Infrastrutture ha avviato il monitoraggio diretto sui soggetti attuatori (dicembre 2022), ha indotto la magistratura contabile a raccomandare al ministero stesso un’assunzione più incisiva dei poteri di coordinamento, monitoraggio, rendicontazione e controllo per assicurare l’effettiva governance sull’investimento», è il messaggio della Corte.

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