Aliseo, il comandante: «Hanno sparato ad altezza d'uomo, più di 100 colpi». Il racconto dell'abbordaggio della motovedetta in Libia

Aliseo, il comandante: «Ho contato più di 100 colpi in Libia». Il racconto dell'abbordaggio della motovedetta
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Sabato 8 Maggio 2021, 15:29

«I libici si sono avvicinati alla nostra imbarcazione e hanno iniziato a sparare ad altezza d'uomo, ho contato più di cento colpi, i vetri in frantumi del finestrino mi hanno investito in pieno, un proiettile mi ha sfiorato la testa. Così ho visto che perdevo sangue». Il comandante dell'Aliseo Giuseppe Giacalone racconta all'agenzia Ansa le fasi drammatiche dell'abbordaggio avvenuto giovedì davanti alle coste libiche dopo essere uscito dalla Capitaneria di porto di Mazara del Vallo. Due ore di interrogatorio e poi via verso casa, per il pranzo con la famiglia.

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«Giovedì pomeriggio stavamo recuperando le reti e via radio la nave della Marina militare italiana ci ha avvisato di puntare la prua verso Nord e navigare a massima velocità - racconta Giacalone - abbiamo chiesto il perché, ma non ci è stato riferito.

Dopo un'ora abbiamo deciso di andare verso la Grecia. Così ho chiesto al cuoco di preparare il pranzo e poi via verso Nord-est». Il comandante, con una benda sul capo per la ferita alla testa e la maglietta ancora sporca di sangue, prosegue il suo racconto: «Dopo due ore di navigazione mi sono accorto che sulla nostra testa sorvolava un elicottero della Marina militare - racconta - mi sono affacciato dalla porta sinistra della cabina di comando e mi sono accorto che c'era una motovedetta libica che veniva verso di noi».

Un ex mezzo della Guardia di Finanza che l'Italia ha donato nel 2018 alla Libia per il controllo anti immigrazione. «Viaggiavano a una velocità di 35-40 nodi, ho chiamato via radio la Marina Militare comunicando cosa stava succedendo. I libici si sono avvicinati e hanno iniziato a sparare ad altezza d'uomo. Ho richiamato la Marina e, a quel punto, mi è stato riferito di fermare i motori». I militari libici sono saliti a bordo, «erano tre, armati», dice il comandante. Ore difficili vissute con la paura di finire sequestrati. «In quel momento avevo vivo il ricordo di cosa ha vissuto mio figlio Giacomo rimasto sequestrato 108 giorni a Bengasi, mi è crollato il mondo addosso», dice Giacalone. Poi la decisione della Guardia Costiera libica di liberare l'Aliseo: «il comandante mi diceva 'sorry, sorry', quasi a scusarsi di quello che avevano fatto», riferisce Giacalone.

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Il comandante dell'Aliseo fuma l'ennesima sigaretta per stemperare la tensione. «Ormai non le conto più», dice. Per lui la sparatoria e la paura del sequestro rappresentano la fine della sua carriera di pescatore: «Non tornerò più a mare, a costo di bruciare il libretto di lavoro, la mia famiglia è distrutta. Oramai sono stanco. Giuseppe Giacalone pescatore è morto». Il mare, il lavoro duro della marineria mazarese e la mancata sicurezza in quelle acque. Su questo si discuterà a lungo nei prossimi giorni a Mazara del Vallo. «Il nostro appello è al Governo: nelle missioni in Libia parli anche della pesca. Anche noi siamo cittadini italiani che, con fatica, cerchiamo di guadagnarci da vivere. Ma rischiare la vita è troppo - conclude Giacalone - ormai ho deciso di smettere».

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