Aldo Moro, la tragica fine che risvegliò lo Stato: il 9 maggio '78, i brigatisti e la Renault in via Caetani

Fu un sequestro a cui si rispose con la linea dura che portò alla sconfitta dei terroristi

Aldo Moro, la tragica fine che risvegliò lo Stato: il 9 maggio '78, i brigatisti e la Renault in via Caetani
di Carlo Nordio
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Domenica 8 Maggio 2022, 09:04 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 02:10

Alle 12,13 del 9 maggio del 1978 una telefonata delle Brigate Rosse al professor Aldo Tritto avvertì lo sconcertato ascoltatore che in via Caetani, all'interno di una Renault rossa, si trovava il cadavere del presidente Aldo Moro. Il tono dell'annuncio era tranquillo e quasi rispettoso; le indicazioni della vettura e della targa puntuali fino alla pignoleria; il luogo del parcheggio estremamente simbolico: una stradina equidistante da Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana, e Botteghe Oscure, quartier generale del Partito Comunista, i due protagonisti del compromesso storico.
IL BERSAGLIO
Aldo Moro era stato rapito il 16 Marzo in via Fani, mentre si recava in Parlamento per la presentazione del governo di unità nazionale che avrebbe consacrato quella nuova alleanza. Fu questa opera di composizione a farne il bersaglio elettivo, perché i brigatisti combattevano principalmente quel riformismo che allontanava la rivoluzione proletaria.
L'agguato era stato concepito e condotto con una tecnica che aveva sbalordito il mondo. Vi avevano partecipato una dozzina di militanti provenienti dalle varie colonne che, dopo aver annientato la scorta - cinque uomini della Ps e dei carabinieri avevano rapito lo statista trasferendolo in una prigione del popolo. Le Br, che avevano esordito agli inizi degli anni 70, prima con volantinaggi, poi con sequestri, e infine con attentati contro i servi dello Stato - magistrati, poliziotti, politici, giornalisti, avvocati, dirigenti industriali ora miravano al cuore della democrazia.
LO SGOMENTO
La reazione del governo fu di stupore e sgomento. Non sapendo dove guardare e dove intervenire, menò fendenti alla cieca, valendosi di investigatori impreparati e affidandosi persino a veggenti, rabdomanti e ciarlatani. Fu organizzata una seduta spiritica durante la quale emerse, si disse, il nome di Gradoli, un paesino del viterbese che risultò insignificante. Furono anche fatte perquisizioni in via Gradoli a Roma. In una di queste, dove la polizia non entrò perché nessuno rispose, c'era uno dei covi più importanti della colonna locale. Nel frattempo iniziarono ad arrivare varie lettere di Moro, indirizzate un po' a tutti: colleghi, giornalisti, famigliari, sacerdoti, amici. Più o meno apertamente, il sequestrato chiedeva di trattare con i terroristi, che avevano chiesto la scarcerazione di una serie di compagni condannati per reati gravissimi. All'interno della coalizione si aprì un doloroso conflitto: i socialisti erano per la trattativa, i comunisti contrari, i democristiani esitanti e divisi.
Prevalse, com'era ovvio e doveroso, la linea dura. Se lo Stato avesse ceduto, le Br avrebbero ottenuto un riconoscimento politico e un trionfo mediatico. Ne seguì l'omicidio dello statista democristiano e una furiosa reazione delle Br con una catena di attentati che mascherava in realtà la loro crisi politica: non avendo più alcun interlocutore, il loro progetto rivoluzionario, già utopistico per ogni persona sensata, era ora manifestamente irrealizzabile.
LA SFIDA
Rifiutando la trattativa, il Paese aveva infatti raccolto la sfida, perché aveva dimostrato di anteporre la propria sicurezza alla vita di un suo autorevole rappresentante. Le Br, dal canto loro, capirono che si erano cacciate in un vicolo cieco. La prova di forza si fece allora più aspra, e le vittime aumentarono. I magistrati - in rapporto al loro numero esiguo - furono quelli che pagarono il tributo più alto. Questo conferì loro un prestigio e un'autorità di cui non sempre successivamente fecero buon uso. Tuttavia furono loro a suggerire a un governo annichilito nel morale e incerto nel procedere la via da seguire: una legislazione che favorisse la dissociazione, concedendo in cambio ampi sconti di pena. E l'idea funzionò. Il primo a capirlo fu Patrizio Peci, uno dei fondatori delle Br, che sotto l'abile gestione del generale Dalla Chiesa e del giudice Caselli iniziò a descrivere la struttura dell'organizzazione. Altri seguirono, nel più stretto segreto.
Quando, agli inizi del 1982, la colonna veneta rapì il generale James Lee Dozier, alcune di queste collaborazioni latenti consentirono la brillante operazione che condusse alla liberazione dell'ostaggio, nel tripudio del Paese e con le congratulazioni di Ronald Reagan.
IL CROLLO
I brigatisti, sconfitti militarmente e politicamente, si sbandarono, e nel giro di due mesi l'intera impalcatura crollò, con centinaia di arresti e decine di dissociazioni. Vi furono negli anni successivi isolati e dolorosi colpi di coda, ma l'attacco al cuore dello Stato borghese era fallito.
Gli assassini di Moro furono individuati, catturati, processati e condannati. Non si introdussero leggi speciali: fu seguita la procedura ordinaria, con le massime garanzie che hanno onorato quella nostra pagina giudiziaria. Dai numerosi dibattimenti non emersero novità particolari: le Br avevano agito in modo autonomo, senza etero direzioni o grandi vecchi dietro le quinte. Questo sembrava troppo semplice agli opinionisti invaghiti della dietrologia, e quindi fiorirono le ipotesi più originali sui presunti mandanti delle stragi.
GLI ERRORI
In realtà, la forsennata ricerca di una responsabilità alternativa mascherava l'incapacità di riconoscere ai terroristi quelle caratteristiche che allo Stato erano mancate: la lucidità dei propositi, la cura nella progettazione, e l'abilità esecutiva. La spettacolare impresa di via Fani dimostrava che dietro a Moretti e compagni non era necessario che ci fosse qualcuno. Bastavano loro, perché erano infinitamente più bravi nell'attaccare di quanto fossimo noi nel difenderci.
In conclusione, il brigatismo fu sconfitto dalla resistenza dello Stato. Fu un salutare e nobile esempio di coesione nazionale e di logica politica, perché nulla quanto la resa aumenta gli appetiti del ricattatore. È un principio che valse allora per i sequestri di persona in generale, con il blocco dei beni del rapito, e con quello di Moro in particolare, rifiutando una trattativa codarda. Ed è un principio che vale anche nelle relazioni internazionali, e che ci impone oggi di aiutare l'eroica resistenza opposta dall'Ucraina alla criminale invasione di Putin.
 

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