Afghanistan, il racconto degli italiani rimpatriati da Kabul: «Assaltate le nostre jeep»

il racconto degli italiani rimpatriati da Kabul: «Assaltate le nostre jeep»
di Flaminia Savelli
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Martedì 17 Agosto 2021, 07:20 - Ultimo aggiornamento: 15:02

«I talebani stanno cercando i nostri colleghi casa per casa. In migliaia stanno rischiando la vita. La situazione negli ospedali è gravissima». Parla con le lacrime agli occhi Arif Oryakhail, consulente tecnico per la salute pubblica dell'Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo del ministero degli Esteri. È anche il primo medico afghano a toccare il suolo italiano, ieri alle 14.30 a Fiumicino. Stravolto, dopo la fuga da Kabul e un viaggio di oltre 12 ore a bordo di un aereo dell'Aeronautica Militare. Un volo organizzato per il rimpatrio delle prime 74 persone tra diplomatici ed ex collaboratori afghani recuperati nell'operazione Aquila omnia.

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Il medico: «Ci sentiamo traditi»

Le parole del medico Oryakhail spiegano il dramma e il caos che si sono scatenati nel Paese dopo che i talebani hanno annunciato in Afghanistan la rinascita dell'Emirato Islamico.

Poi il dolore diventa rabbia: «Ci sentiamo traditi. I nostri collaboratori hanno creduto in noi e ora sono abbandonati e rischiano a vita - racconta il dottore rifugiato che ha collaborato a progetti sanitari - Abbiamo lasciato collaboratori a Kabul e non sappiamo ora come aiutarli, come dobbiamo fare. Donne che non possono muoversi».

Pochi istanti dopo a uscire dal Terminal 5 è Giovanni Grandi, il direttore dell'Agenzia italiana per la cooperazione: «Mi è arrivato l'ordine di evacuazione, ho avuto solo il tempo di raccogliere pochi oggetti personali e affidarmi ai militari che ci hanno scortati. Sono state ore difficili - dice - ci hanno prima trasferiti nell'aeroporto militare e poi da lì, abbiamo dovuto aspettare ancora prima di poter rientrare. Sono state ore interminabili. La situazione che abbiamo lasciato - dice tra le lacrime Grandi - è drammatica». Eppure ne è certo: «Il nostro lavoro non è finito. Continueremo a lavorare per l'Afghanistan da qui».

Appena qualche istante e il direttore Grandi abbraccia Oryakhail: si stringono, piangono. «Ce l'abbiamo fatta» dicono prima di salutarsi. Tra i primi ad arrivare a Roma c'è anche Domenico Fantoni, esperto di logistica e sicurezza sul lavoro. Era in Afghanistan dal 2006: «Una parte del mio cuore è rimasta lì accanto ai nostri collaboratori. Sono rimaste persone che confidavano in noi e sperano di poter arrivare in Italia. È stata una evoluzione rapida e siamo ancora sconvolti» conferma Fantoni.

Le famiglie

«Non potevo aspettare, volevo vedere con i miei occhi che stava bene», Antonietta è impaziente mentre tiene per mano la figlia. È la moglie di un diplomatico a bordo dell'aereo militare appena atterrato. Aspetta dietro il cordone della sicurezza organizzato al Terminal con decine di agenti della polizia e militari in divisa. Il racconto delle ultime ore vissute a Kabul, prima del volo, riporta immagini di un paese sprofondato nei disordini e nel caos: «Ci siamo parlati appena è arrivato all'aeroporto militare- spiega - solo lì si è sentito al sicuro. Durante il tragitto, non appena le persone in strada vedevano la Jeep si lanciavano sopra. Tentavano di fermarla, di salire. Cercavano anche loro di scappare via. Mi ha detto che è stato terribile non poterli aiutare, non poter far nulla per tutte quelle persone ora destinate all'incertezza». Si commuove Antonietta, poi prosegue: «Era preoccupato perché la situazione era ormai irreversibile. L'avanzata dei talebani è stata veloce, anche mio marito me lo ha ripetuto al telefono decine di volte. Non si rassegna a questo epilogo».

 

Aquila Omnia

Per i 74 passeggeri a bordo KC 767, una volta a Roma, è scatta la profilassi anti Covid. Dopo il tampone eseguito dalle squadre Uscar, sono stati accompagnati con i pullman dell'Esercito. I 54 diplomatici italiani, se non residenti a Roma, sono stati scortati alla Cecchignola per trascorrere la quarantena prima della destinazione definitiva. I venti passeggeri afghani invece sono stati trasferiti in un centro militare a Roccaraso, in Abruzzo. Anche loro in attesa della destinazione finale.

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