Possiamo accontentarci dei test rapidi sul coronavirus che danno una risposta in 20 minuti ma sono esatti al 60 per cento? Sulla risposta a questa domanda si giocano il futuro della prevenzione, soprattutto per i casi di importazione, e la possibilità per ognuno di noi di spostarsi liberamente. Il direttore scientifico dello Spallanzani, Francesco Vaia, non ha dubbi: «Servono i tamponi negli aeroporti, nei porti, nelle stazioni, anche nelle scuole».
Andiamo per ordine. Fino a quando non avremo un vaccino o un farmaco efficace, c'è un'altra normalità possibile quasi distopica. Immaginiamoci che ovunque andiamo un tampone veloce, in pochi minuti, ci dica se siamo positivi, allo stesso modo in cui il termoscanner ci misura la febbre. Se siamo infetti, ci fermiamo, ci isoliamo e aspettiamo di guarire, tutti gli altri continuano la loro vita. Quanto manca a questo scenario? Non è dietro l'angolo, ma qualcosa di molto simile è vicino.
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«Entro questa settimana avrete una risposta, ci sono enormi aspettative» spiega la professoressa Maria Capobianchi, direttrice dell'Unità Operativa Complessa del Laboratorio di Virologia della Spallanzani. Il suo staff sta studiando, con la necessaria pignoleria, due tipi di test rapidi, entrambi prodotti in Corea del Sud, di tipo antigenico, differente dunque da quello tradizionale molecolare che richiede grandi strutture e un'attesa di 24 ore. Il test antigenico offre una risposta in 15-20 minuti, un'organizzazione molto agile, e non va confuso con il sierologico che cerca gli anticorpi. Il secondo dice solo se c'è stato in passato contatto con il virus, il test antigenico rileva nell'immediato se sei infetto. In brevissimo tempo e con la necessità di macchine estremamente semplici e portatili. I due sotto esame allo Spallanzani sono entrambi naso-faringei, «uno - ha spiegato l'altro giorno il direttore scientifico dell'Istituto, Francesco Vaia - utilizza l'approccio immunocromatografico che, attraverso una cartina che si colora, indica la positività al virus; l'altro si basa sul metodo dell'elettrofluorescenza». Così come gli scienziati nel mondo sono mobilitati negli studi sui vaccini o sugli anticorpi monoclonali, c'è una corsa altrettanto significativa al test rapido più attendibile, proprio in questi giorni ne è stato presentato un tipo sperimentale a Singapore, un altro è in fase di studio all'Università dell'Insubria.
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Ipotizziamo che sugli aerei siano arrivati almeno 100 asintomatici positivi. Se non fai nulla, li perderai tutti e usciranno dall'aeroporto. Se fai il test rapido, ne intercetti 60 e quindi riduci sensibilmente la presenza per strada di persone positive che contageranno altre persone. C'è però un effetto collaterale: i 40 positivi erroneamente dati per negativi dal test, si sentiranno sicuri e imprudenti nei loro comportamenti, perché convinti, dopo l'esito dell'esame rapido, di essere negativo. Nei piani della Regione Lazio c'è l'idea di utilizzarli sia negli aeroporti, sia nelle stazioni dove arrivano i bus dall'Est Europa, ma comunque in accordo con il Ministero della Salute, che sta attendendo con interesse l'esito delle verifiche dello Spallanzani. Ci accontenteremo del grado di accuratezza al 60 per cento? La filosofia di fondo è la riduzione del danno. E nel mondo, soprattutto in Asia, anche altri paesi vanno nella direzione. Il professor Andrea Crisanti, docente dell'Università di Padova, sostiene che servono i tamponi molecolari anche all'aeroporto, quelli più attendibili, anche a costo di lasciare 24 ore i passeggeri in arrivo in attesa dell'esito e di investire ingenti risorse per i macchinari. «Servono soldi, molti, per mettere in piedi la struttura. Ma il lockdown ci è costato molto di più» ripete sempre Crisanti.
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