Fantastico Giuseppe Tomasi di Lampedusa: né racconto né romanzo

Luca Ricci
di Luca Ricci
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Sabato 22 Marzo 2014, 09:33 - Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 10:54
Recentemente ho letto un racconto Fantastico perfetto che s’intitola “La sirena”. L’ha scritto un italiano tra i pi appartati e irregolari del nostro panorama letterario: Giuseppe Tomasi di Lampedusa. “La sirena” (Feltrinelli 2014, pag.62, € 15,00, qui pubblicato singolarmente insieme a un cd in cui è lo stesso autore a leggere il racconto) è del 1957, e narra la vicenda di un incontro torinese tra un giovane giornalista di belle speranze e un vecchio professore di Letteratura Greca, entrambi però originari della Sicilia. I due cominciano a studiarsi dentro a un bar dove il giovane è capitato quasi per caso, a causa di una crisi di misantropia, e naturalmente la loro amicizia rivelerà molte sorprese. La più sorprendente, quella su cui si impernia tutta la dinamica narrativa, riguarda una certa ragazzina dai “dentini aguzzi e bianchi come quelli dei cani”, che però forse non ha una natura umana, bensì divina. E’ il vecchio che confida al giovane il ricordo indelebile di un’estate di molti anni prima, mangiando dei ricci di mare e ammettendo a malincuore che, giacché non provengono dalla Sicilia, “i loro aculei non hanno certo mai fatto versare un sangue divino”. Il giovane, insieme al lettore, ascolterà fino alla fine il racconto del vecchio, non sapendo se credergli o no, se prendere le vicende alla lettera o in senso figurato: ecco quel che Cvetan Todorov chiamava un racconto fantastico perfetto.



Ma “La sirena” ha avuto anche il merito di ricordarmi dell’importanza di una forma ibrida della letteratura, quella che non è ancora un romanzo senza tuttavia essere più un racconto. E’ una misura a metà strada tra due modalità, e per questo difficilmente incasellabile, che però ha saputo dare nel corso dei secoli prova di originalità, stile e tenuta narrativa. Si pensi solo a “Bartleby lo scrivano” di Herman Melville, “Giro di vite” di Henry James, “La metamorfosi” di Franz Kafka, “La breve vita felice di Francis Macomber” di Ernest Hemingway, “Il poeta continua a tacere di Abraham B. Yehoshua, “Il silenzio” di Francesco Biamonti… Se non avete mai provato la forma intermedia tra racconto e romanzo (per certi si tratterebbe di racconti lunghi, per altri di romanzi brevi) partite da uno dei titoli appena citati e guadagnerete un nuovo vizio.



Tornando a Giuseppe Tomasi di Lampedusa e a Cvetan Todorov, per Fantastico in genere s’intende un racconto il cui scioglimento rimanga in bilico tra una spiegazione razionale e una sovrannaturale. Ma il perturbante è solo l’effetto finale di un’ipotesi che somiglia molto a uno slogan utopistico: un altro mondo è possibile? Quel racconto che, nella durata della lettura, mi offra un’incondizionata fuga dalla stolida realtà: ecco che cos’è il Fantastico. Non voglio che mi catapulti proprio in un universo parallelo (saremmo allora nel Fantasy o, ammettendo uno smottamento temporale in avanti, nella Fantascienza), mi basta che apra delle crepe nel mondo che conosco, che lasci trapelare l’eventualità che non è sempre tutto come sembra. E’, da parte di chi legge, un’inclinazione verso i colori cupi, il nero, il rosa antico, il pervinca. In questo senso il Fantastico prima di essere una modalità letteraria è uno stato d’animo, un sentimento.



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