Letta in allarme: con quest’agenda il governo rischia

Enrico Letta
di Marco Conti
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Martedì 21 Gennaio 2014, 08:45 - Ultimo aggiornamento: 08:48
Il patto di programma sembra essersi eclissato. L’appuntamento dato da Renzi alla direzione pd per il jobs act preoccupa Letta. Il premier vorrebbe andare il 29 gennaio a Bruxelles con un piano chiaro di riforme siglato dai partiti che lo sostengono, ma i tempi stringono.



Da ieri sera i timori del presidente del Consiglio sulla tenuta della maggioranza si sono trasformati in timori sulla tenuta del Pd. Soprattutto dei suoi gruppi parlamentari nei quali i rapporti di forza sono diversi da quelli in direzione. Un problema che potrebbe trasferirsi presto dal piano delle riforme a quello della normale attività parlamentare rischiando di compromettere quel «cambio di passo» che Letta esige visto che non intende stare a palazzo Chigi lavorando sotto dettatura di Renzi o della sinistra Pd.



RIMPASTONE

Letta continua a tenersi fuori dal confronto sulle riforme e non cessa di mettere a punto la scaletta per il 2014, ma non c’è dubbio che il riconoscimento fatto ieri sera da Renzi di Berlusconi come leader del principale partito d’opposizione, finisce con l’indebolire l’impianto del governo nato proprio sulla convinzione - o sull’equivoco - che il Cavaliere si fosse consegnato agli archivi della storia. E’ per questo che il presidente del Consiglio condivide la pressante richiesta del Ncd di arrivare, al termine della trattativa - ad un ”rimpastone” di governo che costringa Renzi a dare propri nomi per due o tre ministeri e di fatto a riconoscere la necessità di una formula politica che continua a contestare. Una prospettiva, quella del Letta-bis, che viene guardata con qualche preoccupazione anche dal capo dello Stato.



Giorgio Napolitano si muove in questi giorni con molta prudenza. Attento a non turbare il già non facile confronto dentro e fuori la maggioranza. Il fatto che i partiti abbiano avviato un dialogo sulle riforme - Berlusconi compreso - non può certo non far piacere al capo dello Stato che ha sempre spronato le forze politiche a trovare accordi sulle ”regole” a larga maggioranza. Le rassicurazioni date da Renzi in privato e in pubblico sulla tenuta del governo, e il collegamento ribadito dal segretario del Pd anche ieri, tra legge elettorale e riforme istituzionali, vanno nella direzione sempre auspicata dal Colle. Eppure il rapporto tra Letta e Renzi, o tra governo e segretario del primo partito di maggioranza, è tutt’altro che chiarito.



Ad allarmare è la determinazione con la quale il sindaco di Firenze anche ieri ha negato ogni possibilità a posporre il varo della legge elettorale alle riforme istituzionali (abolizione bicameralismo e Titolo V) e il rischio che i bersaniani cerchino sul patto di programma (jobs act compreso) una possibile rivincita. Il sospetto che Renzi, una volta incassata la legge elettorale, spinga il Paese al voto anche durante il semestre europeo di presidenza italiana, resta forte malgrado le ripetute rassicurazioni del segretario. Ad accrescere le fibrillazioni, il «no» secco di Renzi a qualunque modifica all’accordo siglato con il Cavaliere al quale ieri l’altro ha strappato un sofferto sì sul doppio turno, ma non riuscirebbe a convincerlo ad abbassare gli sbarramenti o, peggio, ad inserire le preferenze.



Al partito di Alfano non preoccupano gli sbarramenti, quanto la mancanza di preferenze che, di fatto, come ricorda il deputato Ncd Antonio Leone, «sono uno degli elementi costitutivi del partito che vuole recuperare il rapporto con gli elettori». Ieri il vicepremier ha promesso battaglia in Parlamento e ciò rischia di rimettere in discussione la compattezza della maggioranza. Sulla carta l’Italicum raccoglie tutta la maggioranza e si allarga ad un pezzo significativo dell’opposizione. Il percorso è però ancora tutto da verificare e di questo, con opposte motivazioni, sono convinti sia Letta che Renzi.



NERVI SCOPERTI

Sulla tenuta del Pd, a rischio scissione dopo il discorso di Cuperlo, continua ad interrogarsi il Cavaliere che per ora si gode il riconoscimento di un ruolo da ”padre costituente” che accresce quello che Osvaldo Napoli definisce «l’alto senso di responsabilità istituzionale». Ma sconti all’attuale maggioranza e «al governo delle tasse», il Cavaliere non intende farne. Tanto più se Alfano resterà con altri quattro ministri nel governo che ora dovrà non solo stabilire le percentuali delle tasse sulla casa, ma dovrà trovare un’intesa per fare quelle riforme strutturali che Bruxelles chiede in cambio di un sostanziale slittamento del fiscal compact.