Lampedusa, i pescatori accusano la capitaneria: «Si è rifiutata di salvare i superstiti»

Lampedusa, i pescatori accusano la capitaneria: «Si è rifiutata di salvare i superstiti»
di Gigi Di Fiore
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Sabato 5 Ottobre 2013, 08:57 - Ultimo aggiornamento: 14:12

Alba livida, alba appiccicaticcia. Alba di morte. Nell'incantevole scenario chiamato Isola del Coniglio, quasi una conca naturale, la voce del mare era coperta dalle urla. Richieste di aiuto, invocazioni di attenzione. Sta per alzarsi il sole, quando i sei amici a pesca sulla «Gamar», barca da diporto di una decina di metri, si accorgono che c'è gente in acqua. Marcello Nizza, un uomo sulla trentina, era tra i sei. Cova delusione, la tensione di 24 ore prima non si è ancora scaricata. Racconta: «Abbiamo fatto tutto il possibile per salvare quei poveretti, senza preoccuparci di altro. Naturalmente, abbiamo subito chiamato via radio la Capitaneria. Li abbiamo avvisati e sollecitati per tre volte. Sono stati minuti interminabili, noi abbiamo gettato salvagenti in mare, allungato mani, ci siamo anche tuffati per salvare un uomo che stava annegando. E le motovedette non arrivavano».

Nel calcolo di quegli attimi che segnavano la differenza tra la vita e la morte, Marcello mette 45 minuti. Loro a tirare su superstiti esausti, scivolosi per il gasolio che avevano impregnato sul corpo. Quasi tutti rimasti senza vestiti. E aggiunge: «Li abbiamo coperti come potevamo. Poi, finalmente sono arrivate le motovedette della Capitaneria di porto. Volevamo trasbordare la gente, man mano che la racccoglievamo. Ci hanno risposto di rispettare i protocolli in uso in questi casi. Abbiamo dovuto tornare in porto, salvando comunque 47 persone».

MINUTI CRUCIALI

Dalla Capitaneria di porto di Lampedusa partono due motovedette. Poco più di un'ora prima, erano già uscite in mare per salvare altri 378 immigrati, stipati su due barconi a 40 e 50 miglia dalla costa. Una notte di grande lavoro. Per questo, il capitano di vascello Filippo Marini non ci sta alle polemiche. Le definisce «stupide» e replica: «Non esiste alcun protocollo.

Ci sono norme del codice della navigazione e la legge Bossi-Fini. Non ho mai visto un salvataggio, in materia di immigrazione, uguale all'altro». I tempi di risposta all'allarme partito dalla «Gamar»? La Capitaneria di porto parla di dieci minuti.

Come sono stati tirati in salvo i 155 che ce l'hanno fatta? Spiega ancora il capitano Marini: «Abbiamo issato a bordo 87 naufraghi sulle nostre due motovedette. Poi abbiamo allertato altre imbarcazioni vicine, per collaborare nelle operazioni di soccorso. Altro che ritardi». Si avvicina anche il peschereccio «Angela C.». Salverà altre 14 persone. I rimanenti vengono issati a bordo da altre imbarcazioni. Le indicazioni, il protocollo, le regole seguite nel soccorso di giovedì mattina? Il capitano Marini aggiunge: «Macchè protocollo, le norme dicono che la Capitaneria di porto coordina le ricerche, fornisce indicazioni utilizzando imbarcazioni istituzionali e private. Se non ci fosse un coordinamento, sarebbe il caos. È avvenuto anche in questo caso». Soccorsi, la coscienza che è dovere di tutti salvare chi è in difficoltà.

LA LEGGE

Ma poi, c'è la legge Bossi-Fini, ci sono le norme europee che imporrebbero di respingere i clandestini. Dice il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini: «I nostri pescatori hanno collaborato alle ricerche, rischiando l'accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. È accaduto in passato, alcuni sono stati processati». Su 72 pescherecci ancorati a Lampedusa, ben 20 hanno partecipato ai soccorsi di giovedì mattina. La Capitaneria di porto ne ha registrato i nomi, ha indicato l'area in cui dovevano muoversi.

Ma la polemica sulle leggi che vorrebbero l'Italia sentinella d'Europa contro l'immigrazione africana è solo agli inizi. Il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, attizza il fuoco. Aggiunge un altro spunto di contrasti. Si chiede: «Siamo arrivati ormai, dopo questa tragedia, alla linea d'immigrazione zero. Ma come mai nessuno ha avvistato quel barcone, man mano che si avvicinava alla costa? Che sorveglianza abbiamo, se scopriamo questa gente solo quando sta morendo, non ci sono radar sufficienti?».

Gli uomini della Guardia costiera si sentono tirati in ballo. A Lampedusa sono 80, con turni di lavoro massacranti. Esibiscono cifre, condivise con le Capitaneria di porto di tutta la Sicilia: 28mila migranti soccorsi dall'inizio dell'anno, solo nel mese di settembre sono state ottomila, con 1.400 minorenni. Il capitano Marini, poi, precisa: «Si parla sempre di radar, che sono strumenti di rilevamento generico. Si vede un puntino, ma non siamo in grado di distinguere che tipo di imbarcazione sia. E queste sono coste di alta navigazione. Con gli organici attuali, poi, non sono possibili pattugliamenti sistematici».

Della polemica sui soccorsi resta soprattutto la necessità di rivedere le regole. Riformare la legge Bossi-Fini e ridiscutere gli accordi con l'Europa. La tragedia di Lampedusa ha riacceso i riflettori su un dramma, che riesplode per le difficoltà e le guerre nell'Africa settentrionale. Ci sono, rispetto a pochi anni fa, nuove sensibilità, meno acredine e prevenzione sui migranti in arrivo.

IL PROCESSO

Lo avverte anche l'arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, che dice: «È più diffusa la convinzione che tutti hanno diritto a cercare una vita diversa». Cambi di regole. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, ripartito in mattinata, ha avvertito: «L'Europa non può lasciarci soli». Nel frattempo, si fanno i conti con le leggi in vigore. Il fascicolo sul naufragio è nelle mani del pm Andrea Maggioni di Agrigento. Per ora, ha disposto il fermo di un tunisino 35enne indicato come scafista da alcuni sopravvissuti. È accusato di omicidio plurimo e favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Nel fascicolo potrebbero anche entrare i primi soccorritori dei migranti. Per loro, potrebbero partire accuse di concorso in immigrazione clandestina. Una beffa: legale, ma non giusta. E Vito, che era a bordo della «Gamar», su questa possibilità commenta: «Non mi spaventa un coinvolgimento giudiziario. Abbiamo fatto tutto con la coscienza di aiutare povera gente che rischiava di morire. Se dovessi avere un processo, questo dirò ai giudici».

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