Il mondo delle lingue perdute: il 90% degli idiomi in uso non sopravviverà alla fine del secolo

Il mondo delle lingue perdute: il 90% degli idiomi in uso non sopravviverà alla fine del secolo
di Flavio Pompetti
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Lunedì 5 Gennaio 2015, 22:56 - Ultimo aggiornamento: 7 Gennaio, 11:01
Ci sono al momento in tutto il mondo 457 lingue che sono parlate ognuna da non più di dieci persone. Alla loro morte con ogni probabilità scompariranno anche i rispettivi codici di cultura locale e di storia, che avevano dato origine allo strumento di comunicazione, e che l'hanno sopportato fino ad oggi.



Questo processo colpisce i paesi più sviluppati del primo mondo, così come le comunità più isolate: dall'Africa sub Sahariana alla Nuova Guinea, dal Caucaso alla Bolivia. Gli studiosi hanno concluso che una lingua si estingue in media in un periodo compreso tra le due settimane (calcolo iniziale del glottologo Michael Krauss, dell'Università di Fairbanks in Alaska, nel 1992) e i tre mesi verificati negli ultimi 20, in seguito al grido d'allarme lanciato da Krauss. La moria è comunque in fase di espansione, e i decessi accadono a ritmo sempre più frequente. Il parere condiviso tra gli esperti è che il 90% delle lingue ancora in circolazione oggi, non sopravviverà alla fine del secolo. Nel 2115 gli idiomi ancora in circolazione non saranno più di 500.



L’IMPERO

Parleremo tutti in inglese? Si chiede sulle pagine del Wall Street Journal il professor John McWhorther della Columbia University. Non sarebbe la prima volta che un simile fenomeno si verifica. Ogni volta che un impero ha esteso la sua influenza nel mondo, ha finito per contagiare le fonti linguistiche dei territori conquistati. Invece i tentativi di creare a tavolino una lingua comune, sono tutti falliti: dal Volapuk lanciato nel 1879 dal monaco bavarese Johann Martin Schleyer mischiando francese, tedesco e inglese, all'Esperanto.



É la guerra, e non la pace, a favorire la diffusione di una lingua. La guerra commerciale che ha portato l'America a dominare la scena del XX secolo, ha fatto dell'inglese la testa d'ariete dell'omologazione in atto. Una lingua non scritta che era stata creata 2000 anni fa da antiche tribù germaniche in Danimarca, ha finito per dominare la scena internazionale, e sta diventando lo strumento principale di comunicazione. Nessuno riesce ad immaginare un tempo in cui l'italiano, il greco o il tedesco saranno soppiantati ed eradicati dai rispettivi Paesi. Ma le comunità meno coese sono tutte sotto minaccia.



CONTINENTI

La moria delle lingue è particolarmente accentuata nell'Africa sub equatoriale e nel sud est asiatico, ma interessa anche le piccole nicchie di insediamento etniche che nel tempo sono rimaste emarginate. Il caso più eclatante è quello delle lingue delle tribù native del Nord America, dove il neoeletto presidente della nazione Navajo ha dovuto dimettersi perché non era in grado di comunicare nella lingua originale della sua gente, oggi parlata da non più di 7.600 persone, su una popolazione di 266.000.



Il Rosetta Project lanciato dall'università delle Hawaii per monitorare l'andamento di questa tendenza, indica in Italia sette lingue a diverso grado di instabilità. Da quelle ancora diffuse in Sardegna come il sassarese e il gallurese, ancora protette da una cerchia di praticanti di quasi 100.000 persone l'una, al catalano algherese, il logudorese e il campidanese delle zone centrali dell'isola. Il maggior rischio di estinzione è corso dal Gardiol, portato a Guardia Piemontese in Calabria da una comunità occitana nel XIV secolo, e poi rinforzato dall'arrivo dei Valdesi. Oggi è compreso da appena 60 persone, e presto sarà cancellato dalle mappe, come un giorno capiterà forse all'italo albanese trapiantato tra il XV e il XVIII secolo da chi fuggiva l'invasione ottomana.



Rarissimi sono i casi di resurrezione dopo la scomparsa. In Cornovaglia un gruppo irriducibile di glottofili è riuscito a comporre un nucleo di 600 persone che è tornato a parlare la lingua Cornica, ufficialmente estinta nel 1777, così come è accaduto per il Mannese nell'omonima isola di Mann.



L'unica consolazione per chi subisce il processo di colonizzazione linguistica è sapere che anche l'invasore paga un pegno nella conquista. La lingua si corrompe a contatto con nuovi popoli che fanno fatica a parlarla. Diventa più semplice, meno articolata. È successo durante le espansioni coloniali con la creazione delle lingue creole in Africa, in Asia e in America Centrale. Accadrà sicuramente anche all'inglese, condannato nel tempo a perdere eccezioni grammaticali e varietà tonale, a vantaggio di chi dovrà apprendere a parlarlo.
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