Cosa comporta la cancellazione di Singapore dalle due «black list» fiscali italiane?
Comporta innanzitutto un notevole risparmio dei costi. Sia per le imprese già presenti che per quelle che ancora devono arrivare e che magari finora hanno esitato per via dei complessi iter burocratici che andavano affrontati prima che il Paese uscisse dalle due «black list» fiscali. Iter che ora subiranno un alleggerimento sostanziale.
Per le nostre Pmi è una grande opportunità...
Per quelle piccole e medie imprese per le quali l'internazionalizzazione rappresenta un percorso faticoso il fatto che non vi sia più questo scoglio costituisce un elemento in grado senz'altro di fare la differenza.
La presenza di Singapore nelle due «black list» costituiva un problema anche per i grandi gruppi italiani presenti a Singapore?
Certamente. Ora potranno strutturare ulteriormente la loro presenza nella città-stato. Qui a Singapore sono presenti gruppi molto diversi tra loro. Da Ferrero a Maipei, da Piaggio a Saipem. Altri come Menarini, il gruppo farmaceutico che nel 2011 ha rilevato Invida, una delle principali aziende dell'area Asia-Pacific nel campo dei medicinali, e Zanetti, che nel 2014 ha conquistato il marchio Boncafé Group, leader nella torrefazione e commercializzazione di caffè nelle aree del Sudest asiatico, sono qui invece da meno tempo.
Che effetto avrà l'aggiornamento delle «black list» italiane sugli investimenti di Singapore in Italia?
Complice il deprezzamento dell'euro, l'Italia risulterà da ora in poi più appetibile. Fondi sovrani e grandi investitori potrebbero essere interessati a investire maggiormente nel settore turistico, che già prima esercitava grande fascino, come dimostra l'acquisizione dello storico Grand Hotel Palace di via Veneto a Roma del gruppo Boscolo da parte di Millennium&Copthorne, gruppo con sede a Singapore. Ma anche il settore delle infrastrutture e quello manifatturiero suscitano forti appetiti.
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