Treviso, professore di ruolo licenziato: «Il docente non sa insegnare»

Treviso, professore di ruolo licenziato: «Il docente non sa insegnare»
di Camilla Mozzetti
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Venerdì 6 Marzo 2015, 08:39 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 16:17
Licenziato per non aver saputo svolgere al meglio il proprio lavoro. Finisce alla porta un professore dell’istituto superiore Einaudi-Scarpa di Montebelluna, in provincia di Treviso, e scoppia il caso nazionale. Non si tratta, infatti, di un docente precario né di un supplente ma di un insegnante con cattedra, cui la scuola ha contestato la capacità didattica.



Sembrerebbe essere il primo caso, o comunque un caso rarissimo, in cui un docente di ruolo perde il posto di lavoro perché si è valutato che non sa insegnare.



I sindacati e le associazioni di categoria, in primis l'Associazione nazionale presidi, faticano a ricordare episodi analoghi, e non perché manchino docenti che non compiono bene il proprio lavoro. Si può togliere il posto più facilmente a chi offende o minaccia un collega, il difficile viene nel dimostrare in un’aula di tribunale, quando quel docente accusato di imperizia ricorre alla magistratura, che non si riesce davvero a spiegare Platone. Stando alle stime, nelle scuole pubbliche italiane su oltre 650mila docenti di ruolo, il 3% (22mila docenti) sono inadeguati.



TREVISO

Il caso di Treviso con molta probabilità è destinato a “far scuola”, perché spiana la strada a una serie di procedimenti finora tenuti in silenzio. Risale al 2007 l’immissione in ruolo del docente licenziato per una cattedra di educazione tecnica. L’anno scorso studenti e i genitori iniziano a inviare le prime segnalazioni al preside dell’istituto, Gianni Madallon.



L’accusa mossa è quella di valutazioni incongruenti da parte dell’insegnante: voti molti bassi in verifiche giuste e giudizi altisonanti, invece, per compiti sbagliati. Il dirigente dell'istituto superiore avvisa l’ufficio scolastico regionale che, da parte sua, invia degli ispettori per verificare il lavoro del docente. Un iter durato sei mesi, con l’arrivo al licenziamento lo scorso autunno. «Di solito si pensa che licenziare nella scuola sia impossibile, ma non è così», ha commentato il preside.







Casi analoghi? Praticamente inesistenti. Si ricorda la storia di un’insegnate di Padova che, nel 1987, perse il lavoro per lo stesso motivo. Fece ricorso al Tar e al Consiglio di Stato, che le diedero torto, ma nel frattempo l’insegnate era morta.



Gli insegnanti alle prime armi, possono essere rimossi dall’incarico e non ottenere, dunque, una cattedra, se alla fine del secondo anno di prova la scuola evidenzia delle incapacità didattiche ma è difficile imbattersi in licenziamenti per chi una cattedra l’ha ottenuta da tempo e soprattutto per motivi legati al suo modo di insegnare. Le rimozioni dal posto di lavoro scolastico più ingenti riguardano quelle per motivi disciplinari e vanno dalle assenze ingiustificate da scuola all’offesa di colleghi o studenti fino a tutti i reati previsti dal codice penale. Stando agli ultimi dati disponibili e raccolti dal ministero dell’Istruzione, le rimozioni dall’incarico – per sole inadempienze disciplinari – nell’anno scolastico 2012/2013 hanno interessato 24 docenti di ruolo e 5 precari.



LE LEGGI

Ma quali sono le norme che regolano i licenziamenti per i professori? Diverse, e in tutte è prevista anche la rimozione dall’incarico per inadempienza didattica, compreso il contratto nazionale di lavoro per gli insegnanti. Si va dal Testo Unico sulle disposizioni legislative in materia d’istruzione del 1994 al decreto legge 150/2009, firmato dall’ex ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta. L’iter che le scuole compiono è lo stesso di quello seguito dall’istituto superiore di Treviso. Tuttavia, al netto di un percorso normativo chiaro, i sindacati temono ora l’effetto del disegno di legge sulla Buona scuola.



LE PERPLESSITÀ

Tra i punti della riforma c’è, infatti, quello della valutazione per il corpo docente che peserà per ben il 70% sugli scatti salariali. «La valutazione – spiega il segretario nazionale della Flc-Cgil, Domenico Pantaleo – per come è stata presentata finora dal Governo, seguirà dei criteri molto discrezionali e poco oggettivi perché mancano dei parametri, affidando il giudizio sull’operato di un insegnante al preside, a due docenti mentor e a uno di staff». «Si vuole migliorare la scuola ma si rischia l'effetto contrario – prosegue Pantaleo – dando il via a valutazioni e possibili procedimenti basati sull'onda dell'emotività». «Questa scelta invece che affinare le potenzialità dell'istruzione italiana – conclude un segretario – potrebbe generare un meccanismo che priverebbe qualsiasi docente anche delle più basilari tutele contrattuali».
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