Crisi infinita, l’accordo sulla Grecia ambiguo e provvisorio

di Romano Prodi
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Sabato 21 Febbraio 2015, 21:50 - Ultimo aggiornamento: 23:58
Non era difficile prevedere che a Bruxelles vi sarebbe stato un accordo sul caso greco. Una profezia facile, partendo dal fatto che il mancato accordo avrebbe costituito un primo passo nella direzione che nessuno voleva, cioè la fine dell’euro. Dato il freddo esistente nella politica di solidarietà europea era tuttavia altrettanto facile prevedere che sarebbe stato un accordo provvisorio e pieno di ambiguità. Questo è quello che è avvenuto venerdì notte a Bruxelles. Di fatto la Grecia ha ottenuto una dilazione di quatto mesi per mettere in atto le riforme destinate ad arginare la crisi ma si è dovuta impegnare a dare attuazione a queste riforme con decisioni rapide, dure ed obbligate, decisioni che debbono partire fin dalla giornata di domani. Non si tratta di un problema di poco conto perché le misure da prendere sono in aperto contrasto con gli impegni che Tsipras aveva assunto di fronte agli elettori durante tutta la campagna elettorale, impegni che prevedevano forti aumenti dei salari e delle pensioni e una maggiore spesa pubblica per fare fronte al drammatico arretramento delle condizioni di vita delle classi più povere del paese.

A Bruxelles è stato deciso che il governo greco, qualsiasi decisione metterà in atto, lo dovrà fare nel rispetto dei saldi di bilancio, astenendosi in ogni caso da ogni decisione unilaterale. È stata eliminata dal vocabolario la parola Troika.



Ma la funzione di tutore nei confronti del governo greco è ancora nelle mani del Fondo Monetario Internazionale, della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea, cioè delle tre istituzioni che costituiscono l’odiata Troika. Sono stati perfino tolti alla disponibilità di Atene i 10,9 miliardi di euro necessari per ricapitalizzare le banche messe a dura prova dalla fuga dei capitali degli scorsi mesi. Anche il flusso aggiuntivo di capitale alle banche greche sarà quindi sotto il controllo europeo.



L’unico spiraglio di cambiamento è una certa, anche se indefinita, flessibilità riguardo al così detto “avanzo primario” cioè riguardo al surplus di bilancio che il governo greco dovrà mantenere, al netto del pagamento degli interessi. Un aspetto abbastanza secondario dato che la Grecia, pur con un debito elevatissimo, gode già di tassi molto modesti, per cui il pagamento degli interessi è, in percentuale, meno della metà di quello che paga l’Italia, che pure è gravata di un peso del debito assai minore di quello greco. Anche se, pur con gli attuali tassi di interesse, nessun serio osservatore pensa che la Grecia possa ridurre il proprio debito al livello della media europea.



Alla fine della lunga trattativa notturna di Bruxelles si è parlato di una “costruttiva ambiguità”: l’attenta lettura dei comunicati e dei commenti ci porta invece a concludere che si è trattato di una sostanziale capitolazione del giovane governo greco. D’altra parte le cose non potevano andare diversamente da quando si è capito che la Grecia aveva rinunciato all’uso dell’unica efficace arma in proprio possesso, cioè l’uscita dall’euro: la stragrande maggioranza del popolo greco si è infatti dimostrata contraria a questa ipotesi.



Negli ultimi giorni la forza contrattuale greca è stata ulteriormente indebolita da una posizione contraria ad ogni concessione anche da parte di paesi che, come Spagna, Irlanda e Portogallo, avevano fortemente subito la crisi ma ritenevano di esserne usciti per merito dei sacrifici compiuti e si opponevano a qualsiasi concessione particolare per la Grecia, come se i greci di sacrifici non ne avessero fatto a sufficienza.



A Bruxelles il governo greco si è trovato quindi del tutto isolato e la Germania ha avuto gioco facile a radunare attorno a se la sostanziale unanimità dei paesi dell’Eurogruppo. La vittoria germanica è stata così completa che il ministro delle finanze Schaeuble, sempre duro ma di solito misurato nel linguaggio, ha condito la propria soddisfazione con la pesante osservazione che, per il governo greco, «non sarà facile illustrare ai propri elettori il contenuto dell’accordo di Bruxelles».



Un’affermazione che mette una pietra tombale all’ipotesi, che si era profilata nei giorni scorsi, di una posizione più morbida da parte della Cancelliera Merkel e, soprattutto, dei socialdemocratici tedeschi che, come è noto, sono membri della coalizione di governo di Berlino.



Con la decisione di Bruxelles si conferma la dottrina tradizionale che, nei grandi capitoli della politica europea, le politiche nazionali, a partire dalla Germania, prevalgono sulle eventuali differenze dei diversi partiti politici. L’Europa continua quindi a spostarsi da un’Europa comunitaria ad un’Europa intergovernativa. Le proposte di decisione e i progetti di mediazione, come si è visto nel caso greco, sono sempre meno nelle mani della Commissione, che rappresenta l’interesse comunitario e, sempre più, nelle mani dell’Eurogruppo, che è la sede di confronto dei diversi interessi nazionali.



Passiamoci quindi una buona domenica, contenti di avere evitato una rottura irreparabile ma rimaniamo consapevoli che ancora una volta si è trattato di una decisione provvisoria, che non chiude un problema preparando un futuro di regole condivise ma che, al contrario, scarica problemi e tensioni direttamente sulla politica interna dei paesi.



A partire da domattina sarà la Grecia a dilaniarsi ridiscutendo le proprie scelte politiche ma anche coloro che hanno vinto il braccio di ferro di Bruxelles non hanno alcuna ragione per rallegrarsi perché, se non si arriva ad una politica comunitaria e condivisa, passeremo tutti da una crisi ad un’altra. In queste sfide non ci sono infatti vincitori e vinti definitivi, perché ogni decisione rimane precaria e provvisoria. Come provvisorio e pieno di futuri veleni è l’accordo preso venerdì notte sul caso greco.