Robin Tax, Consulta: «Incostituzionale, ma a decorrere da pubblicazione sentenza»

Robin Tax, Consulta: «Incostituzionale, ma a decorrere da pubblicazione sentenza»
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Mercoledì 11 Febbraio 2015, 13:34 - Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio, 19:00
Quando nel 2008 - premier Berlusconi, ministro delle Finanze Tremonti - fu varata l'addizionale Ires su petrolieri e società energetiche, fu subito ribattezzata Robin Tax in onore dell'eroe leggendario che rubava ai ricchi per dare ai poveri.



Ma a sette anni di distanza il tributo non ha superato il giudizio di costituzionalità della Consulta, che raramente ha messo mano in campo fiscale con interventi che modificano l'assetto. Questa volta lo ha fatto, con una sentenza che dichiara incostituzionale la norma che ha istituito il tributo, ma che agisce solo da questo momento in poi e non sul passato. Un escamotage giuridico che tampona le ricadute sul bilancio dello Stato, che diversamente avrebbe dovuto restituire il gettito dal 2008; ma che certo non può disinnescare gli effetti sul 2015, quando quel gettito non ci sarà.



Alte le cifre in gioco e le ha certificate l'Autorità per l'energia nella relazione al Parlamento: nel 2014 la Robin Tax ha consentito di incassare circa un miliardo di euro dalle società energetiche, sui bilanci 2013. Quest'anno, la somma attesa sul 2014 era un pò più bassa perchè sono calati consumi, prezzo del greggio e anche l'aliquota, dal 10,5% al 6,5%. Ma in ogni caso, si tratta di una somma consistente, che non arriverà. La decisione della Corte Costituzionale lascia qualche perplessità. Assoelettrica, attraverso il presidente Chicco Testa, ritiene sia stata «risolta un'ingiustizia ma questo non cancella i danni del passato». «È una buona notizia - aggiunge il numero uno dell'Unione petrolifera, Alessandro Gilotti - ora dovremo approfondire le ricadute sia sotto il profilo economico che amministrativo». Nell'immediato, però le utility si avvantaggiano in Borsa, con generalizzati rialzi dei titoli.



A dubitare della legittimità della Robin Tax, era era stata la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, che esaminando un ricorso proposto da una rete di punti vendita di carburanti, la Scat, contro l'Agenzia Entrate, nel marzo 2011 investì della questione la Corte Costituzionale. Per giungere a un decisione ci sono voluti quasi 4 anni. Nel marzo 2013, tra l'altro, la Consulta decise di far slittare l'udienza. Segno di quanto il tema fosse delicato e andasse a toccare interessi sensibili a cui dare definizione sul piano del diritto. Ora la sentenza redatta dal giudice Marta Cartabia, mette un punto fermo. Con due premesse: che lo scopo del legislatore «appare senz'altro legittimo»; e che quello energetico-petrolifero è un settore di «stampo oligopolistico, popolato da pochi soggetti», in cui «le ordinarie dinamiche di mercato faticano a esplicarsi». Come dire: c'erano i presupposti per una tassa ad hoc.



Ma il modo in cui il tributo è stato configurato non regge.
Innanzitutto, perchè benchè l'imposta interessi soggetti con ricavi superiori a una certa soglia (25 milioni scesi a 10 con le modifiche alla legge) l'imposta grava su tutto il reddito, non solo sugli extra-profitti. Poi perchè quest'addizionale, nata per fronteggiare una «congiuntura economica eccezionale», è diventata «strutturale» e «senza limiti di tempo». Infine sono assenti meccanismi in grado di garantire che gli oneri derivanti dall'incremento di imposta non si traducano in aumenti del prezzo al consumo. Gli effetti della sentenza non saranno però retroattivi: se lo fossero stati, sarebbe stata necessaria «una manovra finanziaria aggiuntiva». La Corte, invece, deve sempre tenere in debita considerazione l'impatto che una sua pronuncia ha su altri principi costituzionali.
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