Permessi lumaca, politiche attive flop e incentivi nel cassetto: l'area di crisi industriale di Frosinone ostaggio della burocrazia

Permessi lumaca, politiche attive flop e incentivi nel cassetto: l'area di crisi industriale di Frosinone ostaggio della burocrazia
di Pierfederico Pernarella
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Martedì 30 Giugno 2020, 08:59 - Ultimo aggiornamento: 1 Luglio, 15:47

La Regione Lazio, su proposta del presidente della Pisana Mauro Buschini, sembra intenzionata ad allargare l'area di crisi industriale complessa anche al sud della provincia di Frosinone per supportare il settore dell'automotive che ruota intorno alla Fca. In attesa degli esiti di questo progetto, però, a quattro anni dal suo riconoscimento - correva l'anno 2016 - non si è ancora capito quali, nei fatti, siano stati i benefici e i risultati dell'area di crisi industriale complessa del frusinate già esistente.

In realtà più che complessa, l'area di crisi appare complicata in tutte le procedure che la contraddistinguono e finora si sono rivelate un flop.

A cominciare dalle cosiddette politiche attive - previste dall'accordo firmato nel 2018 tra Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Lazio e Provincia di Frosinone - che avrebbero dovuto portare al reinserimento socio-lavorativo di centinaia di disoccupati ciociari da circa un quindicennio appesi agli ammortizzatori sociali dopo la chiusura di grandi industrie come la Videocolor, Ilva, Marangoni, Valeo. Lo stesso pagamento della mobilità in deroga era stato condizionato alle politiche attive. Ebbene, finora, non c'è stato un solo disoccupato che abbia trovato lavoro o qualcosa di simile con le misure previste dall'area di crisi industriale complessa.

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Così come, al momento, non c'è stata una sola azienda che abbia ricevuto uno spicciolo degli incentivi previsti sempre dall'Accordo del 2018. Non una cifra stratosferica, 10 milioni di euro, ma circa due anni non sono bastati a portare a compimento il bando indetto da Invitalia. Le aziende interessate ad ottenere gli incentivi, hanno avuto solo tre mesi per presentare i progetti. Indetto a fine gennaio del 2019, l'avviso è scaduto alla fine di aprile dello stesso anno.

Da allora si sta lavorando ancora sulla graduatoria che è stata aggiornata lo scorso febbraio, con la esclusione del progetto della Pacaro srl, l’azienda che sta realizzando il polo logistico del freddo più grande del Centrosud presso lo stabilimento Froneri di Ferentino. Il progetto della Pacaro era quello più cospicuo in termini di contributi richiesti: poco meno di 11 milioni e mezzo di euro. Con la esclusione della “ Pacaro” ci sono fondi a disposizione per le altre aziende in graduatoria.

Come nella precedente graduatoria, resta in pista il progetto da 4,7 milioni di euro della Fiuggi Palace srl, società proprietaria del Grand Hotel Palazzo della Fonte nel centro termale ciociaro. Si aggiungono in istruttoria altri tre progetti presentati da altrettante aziende: la Mecal srl di Ceccano che si occupa di meccanica aeronautica (contributi per 2.4 milioni di euro), la Terme di Pompeo srl di Ferentino (2 milioni); la “Silva Hotel Splendid srl” di Fiuggi (1,9 milioni).

Si tratta, per lo più, di progetti legati al turismo, anche se gli incentivi erano mirati a piani di riconversione industriale con un occhio alla riqualificazione ambientale. Ma tant'è. I soldi sono rimasti nel cassetto

E a proposito di riqualificazione ambientale, se si stentano a scorgere i benefici del riconoscimento dell'area di crisi industriale complessa, si toccano invece con mano le difficoltà delle aziende e dei Comuni a districarsi nei paletti fissati con l'istituzione del Sito d'interesse nazionale (Sin) per la bonifica della Valle del Sacco

L'emergenza sanitaria del coronavirus ha reso più complicato una situazione già di suo difficile. In sei mesi, come evidenziato nelle settimane scorse  anche da Il Messaggero, sono stati portati avanti solo un paio di procedimenti.

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La Confapi Lazio, la confederazione della piccola e media industria, parla di «grande bluff».

«La bonifica del Bacino del Fiume Sacco è ferma al palo e, ad oggi, rimane solo un'idea. Pratiche bloccate e investimenti fermi da anni: la burocrazia ha paralizzato il rilascio di permessi e concessioni, frenando l'attuazione del piano. A sei mesi dalla nascita della nuova Direzione generale per il risanamento ambientale e a quasi 4 anni dalla istituzione del Sito di Interesse Nazionale “Bacino del Fiume Sacco”, nella Provincia di Frosinone, nulla è cambiato», sostiene Massimo Tabacchiera, presidente di Confapi Lazio.

La Valle del Sacco è uno dei Siti di Interesse Nazionale (SIN) più estesi di Italia, con un territorio vasto circa 7.300 ettari, che interessa 19 comuni tra la provincia di Roma e quella di Frosinone. Un'area che conta 200 mila residenti, oltre 100 aziende. Per la bonifica sono stati stanziati circa 57 milioni di euro attraverso l’Accordo di Programma Quadro firmato nel 2019 tra il Ministero dell’Ambiente e Regione Lazio.

I vincoli del Sin, denuncia la Confapi, hanno comportato «lungaggini burocratiche  che, come denunciato anche dai Comuni, hanno paralizzato il rilascio delle concessioni edilizie da parte degli uffici comunali aggravando ulteriormente il deterioramento di un sistema imprenditoriale già duramente già provato dalla crisi del 2008 e dall'emergenza Coronavirus. Vi sono aziende che stanno attendendo da più di due anni l’approvazione da parte dei funzionari del Ministero dell’Ambiente di documenti per poter finalmente attivare i procedimenti di bonifica del sito».

La Confapi cita un caso specifico: «La società Campioni Logistica Integrata Spa di Patrica, che dopo aver ottenuto l’approvazione regionale per la realizzazione di un impianto di bonifica di cisterne in plastica, da più di un anno è in attesa che il Ministero dell’Ambiente approvi il “Piano di Caratterizzazione” per conoscere lo stato ambientale del proprio sito ed ottenere finalmente dal Comune un semplice permesso per realizzare un nuovo capannone». 

Nel Comune di Frosinone, invece, prosegue la confederazione della piccola e media industria, «un’azienda proprietaria di un terreno industriale, costretta anch’essa a dover “caratterizzare” il sito per ottenere il permesso di costruire (nonostante siano scaduti da tempo i 45 giorni di massima durata prevista dalla normativa della Conferenza dei Servizi, attivata dal Ministero dell’Ambiente a gennaio scorso per l’approvazione del Piano di Caratterizzazione) attende da otto mesi l’atto formale di approvazione da parte del Ministero per poter procedere con le indagini ambientali». 

«Il paradosso - conclude amaramente il presidente della Confapi Lazio -  è che nonostante la grave crisi dovuta al COVID alcune aziende vorrebbero investire e non sono messe in condizione di farlo a causa delle lungaggini burocratiche. Eppure il 9 Gennaio il Ministro dell’Ambiente dichiarava che era stata creata una direzione sulle bonifiche e questo avrebbe consentito di dare una svolta decisiva e superare la lentezza burocratica che per troppo tempo ha tenuto in ostaggio territori che necessitano di interventi urgenti». 

 

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