“Moda e politica", la sociologa Maria Cristina Marchetti: «Il simbolo della donna al potere era la giacca, oggi è il tacco alto»

Maria Cristina Marchetti
di Valentina Venturi
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Sabato 27 Giugno 2020, 19:42

«Per la donna al potere la novità è poter indossare liberamente il tacco alto». Maria Cristina Marchetti, docente di Sociologia dei fenomeni politici alla Sapienza, con il libro “Moda e politica” pubblicato dalla casa editrice Meltemi, analizza con un approfondito excursus storico, come è cambiato il guardaroba femminile legato al potere. Nel testo la professoressa descrive l'impatto della rappresentazione simbolica, visto e considerato che «le manifestazioni superficiali della cultura come la moda, hanno la capacità di restituire un’immagine della realtà nella sua immediatezza, una sintesi che contiene in sé contenuto e forma, apparenza e sostanza». Tutto ha inizio dalla regina Elisabetta I d'Inghilterra.
 
Come mai proprio lei?
«È la figura storica che per prima ha intuito quanto fosse importante, nel suo contesto, curare l’aspetto della rappresentazione simbolica del potere. Elisabetta I capisce che deve imporsi, deve astrarre il potere dalla sua figura umana e incarnare il monarca di una dinastia nuova. Lo fa con grande abilità e utilizzando gli strumenti presenti nel costume dell’epoca, tanto che costruisce la sua figura umana, rendendola anche fisicamente e dal punto di vista corporeo in una sorta di maschera, di costume molto rigido. Si rasa i capelli, indossa la parrucca, si dipinge il volto di bianco perché non ha più niente di umano: è il simbolo del potere. Da lì inizia il percorso della modernità».
 
Allora con Elisabetta II il potere è indicato dal colore?
«Sarebbe divertente dire così. Lei ha operato una strana operazione: non è mai stata alla moda né l’ha mai seguita, ma ha inventato uno stile che detta le regole della rappresentazione di un potere istituzionale. Sembra inamovibile, sempre con lo stesso completo, la borsetta, il cappello e il cappottino. È sempre uguale perché la forza di un potere come quello che rappresenta e con i limiti che oggi può avere una monarchia, è la tradizione, il mantenersi al di fuori del capriccio e delle regole momentanee e passeggere della moda e incarnare un potere istituzionale».
 
Un po’ come Margaret Thatcher?
«C’è un filo che le unisce: la loro volontà di darsi una dimensione istituzionale. Thatcher fa un’operazione simile, in un percorso di crescita personale molto interessante: non è facile essere la prima donna leader del partito conservatore inglese. Deve emanciparsi dall’immagine iniziale della brava donna inglese, per diventare la lady di ferro. Guarda caso lo fa quasi imitando Elisabetta II: la collana di perle, i tailleur rigorosi, il blu in tutte le sfumature perché è il colore del partito, pochi accessori al massimo la camicia con il fiocco al collo. Piccoli segni di femminilità in un mondo nel quale poi si ritaglia un ruolo politico importante e duro dove non le sono permesse frivolezze e gli elementi propri della leggerezza che riconduciamo alla moda».
 
Quindi parafrasando: l’abito fa la monaca anche in politica?
«Dagli anni Novanta in poi per la donna in politica e nei ruoli del potere è stato possibile riappropriarsi del suo rapporto con la moda e la femminilità; prima se volevano raggiungere il potere dovevano attenersi ad un modello maschile, adattarsi a uno schema che da 200 anni regola l’universo della politica e ne segna l’esclusione della moda. In Italia con la nascita della Seconda Repubblica le donne sono entrate nei ruoli politici con tutte le loro caratteristiche, mantenendo sempre un certo aplomb istituzionale, ma rinunciando molto meno alla loro femminilità. Questo, ancora oggi, a volte le espone al rischio di far passare il loro aspetto esteriore sopra a contenuti o idee che legittimamente hanno».
 
Da cosa è dipeso?
«Un’entrata più cospicua delle donne in politica, anche grazie a dei cambiamenti nella formazione delle liste. Inoltre sono entrate donne più giovani per le quali, forse, era difficile attenersi ai dettami di un mondo maschile».
 
Qual è nel 2020 il capo d’abbigliamento simbolo del potere politico femminile?
«Verrebbe da dire la giacca ma, guardando le immagini delle donne in Parlamento come delle giornaliste che leggono il telegiornale, quello che si registra è il rifiuto della giacca: di recente non la indossano più o se lo fanno è molto destrutturata. Negli anni Settanta e Ottanta non era così. Ora è il tacco alto, simbolo a cui si riconducono anche significati che toccano la sfera sessuale: non è solo simbolo di femminilità ma anche di potere, della donna dominatrice. Il tacco alto è una novità che sia entrato nel mondo della politica. Se la giacca era il simbolo di un adeguamento al modello maschile, il tacco alto diventa in qualche modo una rivendicazione di autonomia».
 
Qual è una donna che oggi unisce moda e politica?
«La giovane, battagliera e riconoscibile Alexandria Ocasio-Cortez, che ha un modo di presentarsi molto moderno, contemporaneo. Non rinuncia alla femminilità, però si sta costruendo un suo personaggio politico. La seguo da quando ha iniziato e penso che potrebbe essere un segnale importante, visto che rappresenta più mondi e rappresenta un modo di fare la politica e di rappresentarla con il suo modo di essere».

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