Vittorio Feltri si dimette dall'Ordine dei giornalisti: «Lascio, sono nauseato dai processi»

Vittorio Feltri si dimette dall'Ordine dei giornalisti: «Lascio, sono nauseato dai processi»
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Venerdì 26 Giugno 2020, 12:21 - Ultimo aggiornamento: 14:26

Vittorio Feltri si dimette dall'Ordine dei giornalisti. La notizia è stata data oggi da Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale nel suo editoriale. «Vittorio Feltri non è più giornalista, non nel senso giuridico del termine. Dopo cinquant'anni di carriera si è dimesso dall'Ordine rinunciando a titoli e posti di comando nei giornali, compreso nel suo Libero (lo fondò nel 2000)». Sallusti scrive nel sottotitolo: «Così il soviet del politicamente corretto uccide la libertà». «Perché lo abbia fatto, lo spiegherà lui - continua Sallusti - ma io immagino che sia una scelta dolorosa per sottrarsi una volta per tutte all'accanimento con cui da anni l'Ordine dei giornalisti cerca di imbavagliarlo e limitarne la libertà di pensiero a colpi di processi disciplinari per presunti reati di opinione e continue minacce di sospensione e radiazione».

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E sulla vicenda interviene lo stesso Feltri. Alla domanda se l'Ordine valuteranno la sua richiesta di dimissioni, Feltri risponde all'Adnkronos: «Ma ci mancherebbe altro, mica è una prigione? Io me e vado dove cavolo mi pare, anche a casa! Il direttore editoriale posso continuare a farlo lo stesso perché lo può fare chiunque anche un geometra. Mi sono stancato, mi massacrano, mi stufano, mi fanno perdere tempo e devo pagare gli avvocati. Ma andassero a quel paese... non ce la faccio più, basta, fine, non cambierò idea, non torno indietro».

«Mi rifiuto di essere processato per certe mie espressioni che non vanno a genio alla Corporazione che non mi pare sia abilitata a fare processi di questo tipo - sottolinea il direttore di 'Libero - Vengo processato anche per dei titoli ma si dà il caso che io sia il direttore editoriale e che ci sia un direttore responsabile quindi questi qui non sanno neanche che il direttore editoriale non risponde dei contenuti del giornale». «Mi processi per un reato che non posso commettere? -incalza Feltri- io posso proporre un titolo ma non lo posso imporre! Sono nauseato e adesso ho anche intenzione di querelare tutti quelli che mi hanno ingiustamente tentato di perseguirmi perché non possono attribuire al direttore editoriale compiti che non sono suoi, basterebbe leggere il mio contratto». Infine Feltri ringrazia Sallusti: «Ho letto il suo editoriale che mi è sembrato impeccabile anzi lo ringrazio per la sua presa di posizione in mia difesa».


Sallusti, nel suo duro editoriale tira un affondo all'Ordine: «Chi sgarra finisce nelle grinfie del soviet che, soprattutto se non ti penti pubblicamente, ti condanna alla morte professionale. A quel punto sei fritto: nessun giornale può più pubblicare i tuoi scritti e se un direttore dovesse ospitarti da iscritto sospeso o radiato farebbe automaticamente la stessa fine. Se invece ti dimetti dall'Ordine, è vero che non puoi più esercitare la professione - e quindi neppure dirigere -, ma uscendo dal controllo politico puoi scrivere ovunque, senza compenso, come qualsiasi comune cittadino».

«In sostanza. Per potere continuare a scrivere, Vittorio Feltri - immaginando di essere di qui a poco ghigliottinato, penso io - ha dovuto rinunciare al suo mestiere» sottolinea. Molto dura anche la conclusione: «Io mi auguro che le centinaia di colleghi ai quali negli anni Vittorio Feltri ha offerto lavoro e insegnato un mestiere, oggi abbiano un sussulto di orgoglio, e da uomini liberi facciano sentire la loro voce; mi auguro che i suoi oppositori aguzzini si vergognino della loro squallida miseria culturale e professionale; mi auguro che Carlo Verna, presidente dell'Ordine - quindi di tutti i giornalisti, non solo di quelli di sinistra - abbia la forza di rifiutare le dimissioni e garantire a un grande collega la libertà che merita, perché se così non fosse da oggi nessuno di noi potrà sentirsi al sicuro. E auguro a Vittorio Feltri di scrivere liberamente, anche da non giornalista, fino a che Dio gliene darà la forza» conclude Sallusti.

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